Uno degli aspetti più interessanti della comunità di Cortenova è la continuità di certi lavori, come lo sfruttamento delle miniere e la lavorazione di metalli, divenuta così consistente negli ultimi secoli, da essere ancora basilare nella economia valsassinese.

Per primo Leonardo ebbe a segnare, nel Codice Atlantico al foglio 241 verso, «li edifiti della vena del rame e dello arzento, presso una terra detta Pra Sancto Petro e vene di ferro e cose fantastiche». Non c’è altra notizia delle miniere indicate, anche se si deve pensare che la presenza ormai considerevole nel Cinquecento dell’arte della ferrarezza in Cortenova abbia preso vantaggio da qualche miniera vicina, forse nella zona del Cainallo, cui si saliva con antichissima mulattiera: se non sono indicativi anche i nomi della Piazza del Carbone e degli Ajali sull’alta valle dei Molini. Il Parlaschino accenna poi a scoperta di miniere tra Parlasco e Cortenova in possesso dei Mornico; contemporaneamente i Fondra andavano a cercare vena sul Varrone.

Nella prima metà del Settecento incominciava a sentirsi l’aggravio dei trasporti del materiale ferroso del premanese, anche per la cattiva condizione delle strade; si cerca così in val San Biagio dal 1730 e quindi in Val Grande e in Val Mala, nel territorio di Bindo. Altre vene del ferro si trovavano alla Crotta sopra i monti di Ptrato, mal sfruttate per tutto il secolo: ricerche si fecero nel 1784 al Bergamino di Cortenova e il ricordo sta forse nell’alpe Smersa. I risultati furono sempre scarsi, anche se si continuò a trovare sopra Ptrato un po’ di rame e di piombo argentifero.

Da antichi tempi la pietra rossa che ha dato il nome al torrente Rossiga venne usata come material da costruzione; sul versante di Cortenova nel 1788 si incominciò a cavare la pietra ollare per far vasi domestici e dei marmi. Nel 1860 iniziò la lavorazione della barite, scavata dal Vanotti a Cortabbio, Primaluna e Cortenova; il laboratorio di macinazione venne posto a Prato e poi anche a Cortenova: 100 operai vi lavoravano sulla fine del secolo.

Sulle montagne di Bindo si diede a cavare galena argentifera la Società Virginia fondata nel 1862 con una vasto programma che interessava tutta la Valsassina. La società aveva miniere in Biandino sopra Introbio e a Morso in Val Rossiga e la sua lavatoria di scorie era collocata a Cortenova; tutto cadde in pochi anni. Al Morso si trovava molto argento, due chili la tonnellata di piombo, ma la vena scendeva in profondità.

 

La lavorazione del ferro e del rame – Leonardo è il primo ad accennare agli opifici di Prato. In questo settore si può dire che Cortenova rappresenti con continuità un grosso centro di lavoro, insieme a Premana e Introbio. Si pensi quanto significò la presenza della famiglia Mornico, alla quale apparteneva il complesso di costruzioni con forno da ferro, trafilerie, maglie, magliole, ferrarole al ponte Cortenova, ancora in funzione. È con queste imprese che i Mornico divennero importanti nella vale e ricchi tanto da comprare il vecchio monastero di Varenna e trasformarlo nella famosa villa: si effigiavano appunto in atto di rovesciare sul tavolo sacchi di monete d’oro. Nel 1601 venne però a competere con essi una famiglia di Barzio, i Fondra, stabilitisi a Prato.

Alla fine del XVI secolo il panorama del lavoro è questo: all’Acquabona prima di Prato varie fucine, molini e a breve distanza fornaci; molini nella omonima valle; le officine Mornico al ponte e annesse fole di panni. I ferrai erano tre a Cortenova e due a Prato; i magnani dieci a Cortenova e cinque a Prato, spesso in giro per Veneto e Toscana; due tessitori, due cavallanti, nove merciai; e se si aggiunge il calzolaio, il falegname e il sarto, si vede che l’ambiente lavorativo legato alla terra è nettamente superato, poiché ve ne sono addette solo tredici persone, per lo più di Prato. Si noti che molti chiodaroli venivano dalla bergamassca e appunto del tipo là usato era il forno dei Mornico.

Scarne le notizie del Seicento. Ci sono i guasti prodotti ai mantici del forno fusorio da parte dei francesi nelle scorrerie del 1630 e del 1636, avventura comune a tutta la Valsassina e a Lecco, sicché la ripresa nel lavoro del ferro sarà a lungo difficoltosa; e in tutta la valle nel 1640 riusciva a funzionare solo questo forno di Cortenova, tenuto dagli Arrigoni, altra delle grandi famiglie milanesi imprenditrici del ferro. Inoltre verso il 1675 si erano stabiliti a Piano certi Render, originari di Coira e provenienti da Laorca, che facevano gli armaioli.

Il censimento di Carlo VI reca novità. Vien segnalata la chioderia dei Petralli a Piano (con un vecchio molino), il forno fusorio dei Fondra al ponte, una o due grosse fucine da colo in Cortenova e Prato. Il forno, uno dei sei della Valsassina (e Lecco non ne aveva e quindi ad essi si approvvigionava), faceva dei Fondra la seconda delle imprese locali e una delle maggiori dello Stato di Milano per il reddito di 440 lire. Il forno sospendeva talvolta per mancanza di legna e carbone, ma la ghisa si vendeva bene intorno al 1730 e i Fondra si tenevano su comprando boschi e coltivi, assoldando servi a protezione delle officine. Ai Mornico erano rimasti due molini sulla roggia che andava a Piano, mentre altri due se ne trovavano nella val dei Molini, uno dei Fondra e uno dei Mascari.

Quattrocento metri sopra il ponte di Prato, un Carlin Mornico fondava, circa il 1740, la fucinetta dei Carlini ancora funzionante con un maglio, che ha sostituito quello antico a trombe idroeoliche portato al Museo della scienza e della tecnica a Milano. In quel tempo un’altra fucina da ferro i Mornico costruirono sul canale verso Piano.

Nel 1771 la Valsassina languiva nel settore del ferro mentre il Pioverna con le sue piene era causa di distruzioni di opifici e devastazioni di campi. Un prete Mornico proponeva un consorzio obbligatorio di difesa contro le rovinose piene del Pioverna e affluenti; il visitatore Sangiorgio lamentava la distruzione dei boschi e l’eccessiva sicurezza dei maestri bergamaschi che non pensavano a migliorare le tecniche della lavorazione del ferro; un po’ di tempo dopo la valle avrà a dolersi del rincaro del dazio di Lecco sulla ghisa. Dei sei forni della valle, solo quattro erano attivi; ciononostante quello dei Fondra era il secondo per ricavo annuo lordo di 12.100 lire. Ma rendevano meglio le fucine grosse, che erano ben quattro su sette della valle: tre erano dei Mornico, in ripresa, che vi facevano lavorare il loro ferro cavato a Premana da 25 operai locali, col quale rifornivano il magazzino di ferramenta aperto a Lecco: allora erano fornitori del ferro occorrente al nuovo Teatro alla Scala.

Il Pini nel 1779, proponendo migliorie al settore per salvarlo dalla crisi, avvertiva che il forno di Cortenova era troppo lontano dalle miniere, sicché il trasporto incideva già per 5 lire la soma; eccessivo era poi il consumo di carbone e scarsa la resa; perciò pensava di far accendere in sodalizio regolarmente il forno di Premana e a turno quelli di Cortenova e di Introbio, in modo da condurre campagne regolari di 8-9 mesi. Si usava dare a fitto, a ore o giorni, il forno e Cortenova aveva prezzi altissimi; il suo valore si calcolava in oltre 10.000 lire.

Nel 1782 la situazione era tanto peggiorata che si pensava di lasciare aperto solo il forno di Cortenova e uno dei due di Premana: e pensare che i Fondra lo usavano solo tre mesi ogni due anni, con una produzione di 1,07 tonnellate al giorno. Ma il carbone locale, pur caro, era buono, come pure il ferro prodotto e il Fondra non aveva intenzione di procedere a miglioramenti nel processo di lavatura del materiale, per il rischio di perdere ferro. Gli anni 1782-85 registrano una ripresa nella lavorazione del ferro e Cortenova tornò uno dei quattro maggiori centri lavorativi della Valsassina, col 13 per cento circa degli edifici industriali: a Cortenova il forno e due fucine da chiodi dei Fondra, la fucina grossa da fondere in località Fondra, tre fucine da chiodi e attrezzi dei Mornico, poi quattro molini da grano e un torchio da olio; a Piano la fucina grossa con officina da chiodi e un molino dei Petralli; la fornace della comunità di Bindo, quasi in disuso; e si potrebbe aggiungere la Fregera con altre tre fucine per completare il panorama complesso degli stabilimenti che sorgevano nel piccolo tratto di valle.

Il rinnovamento del forno Fondra fu attuato da un Combi, dotato scopritore di miniere ferrose che, con fondi erariali, si mise a rifarlo portandolo alla norvegese; e tutto andava bene perché situato in mezzo della valle, sia per la vicinanza maggiore dell’abitato, come per il comodo del facile trasporto del carbone, è il più frequentato per le prime fusioni, di modo che lavora più per i concorrenti che per il proprietario. Si incanalava il Pioverna, si facevano piantagioni sulle rive per regolarlo al fine di difendersi dalle rovinose piene. Il gruppo era salito nel giro di otto anni da 28.000 a 36.000 lire di valore capitale ed equivalente al 2,9 per cento del valore generale delle imprese ferrose dello Stato.

Nei primi anni dell’Ottocento i Fondra continuavano la loro ascesa, anche in relazione al fatto che il commercio in valle si era incrementato, pur sotto la minaccia della scarsezza del carbone. Dal canto loro i Fondra fornivano palle di cannone agli arsenali e non si curavano delle lamentele delle fucinette dalla Valsassina, oltre 70, che vivevano sul ferro prodotto qui solo per metà, ed esportavano attrezzi in Piemonte, e in Svizzera, attraverso il mercato di Lecco; e chissà se si lamentavano anche i 45 operai del Fondra.

Nel 1820, dopo le complicazioni politiche, seguite al trattato di Vienna con la caduta di Napoleone, i Maroni rilevano il forno e continuano per tutto il secolo la tradizione delle fucine.

Il meccanico Biagio Spandri di Bindo, chiuso l’opificio d’armi del Cariggio di Lecco, nel 1874 aprì uno stabilimento per fucili e rivoltelle, tra i primi in Italia, a Cortenova: aveva 100 operai che lavoravano in parte a domicilio e come primo cliente c’era lo Stato, che però dopo due anni cessò le commesse, facendo fallire l’impresa. Agli operai veniva dato un giornale stampato da Amatore Mastalli, strano tipo di sindacalista locale, cooperato dal De Vecchi, già patriota del 1848.

testo di PIETRO PENSA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it a cura di Angelo Sala

 

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