Se l’esistenza di grandi vie di passaggio fu determinante nella storia del Lario orientale, importante per i destini della gente che lo abitò fu la presenza, negli alti monti del Varrone, di vene di siderite, il cui sfruttamento, facilitato dalla ricchezza di boschi, fonte del carbone per i forni, e di acque per l’azionamento dei mantici delle fucine, investì l’attività di tutto il territorio, portando benessere agli abitanti e condizionandone la mentalità.
Le prime notizie documentarie pervenuteci mostrano che già all’inizio di questo millennio l’industria mineraria era progredita e organizzata. Gli studiosi dei secoli scorsi la dicono antichissima, di origine romana, pur avanzando per la loro affermazione ragioni piuttosto vaghe.
L’Arrigoni, dopo aver ricordato la frase del Giovio «Nella montagna che del Varrone ha il nome, si osservano filoni quasi perpendicolari del ferro incastrati in una pietra cornea. Ivi da tempo immemorabile si affaticano gli operai, ed infatti avvien sovente che là dove si attende buon profitto da un fertil filone, altro poi non si ritrovi che rottami e frantumi, per cui svelasi che l’uomo in altri secoli sudovvi attorno», osserva: «Un giorno intero potresti aggirarti per entro le buie viscere del monte e nno basterebbe a percorrerle tutte. Questa non può sicuramente esser che l’opera di molti secoli e di numerose braccia». Si richiama quindi all’impiego in Valsassina di nomi chiaramente latini nel gergo dell’arte del ferro, quali medellario per dire minatore, discente per assistente, menestratore per colui che versa carbone e metallo nel forno, vena per minerale.
Ancora, l’Arrigoni ricorda che fu sempre costumanza indicare le miniere con il nome dello scopritore o possessore, fatto del resto confermato da Plinio, e cita in proposito il nome di altre miniere valsassinesi, Dente, Cipriana, Arrigona, Petazza che furono appunto denominate con tale concetto. Propone, perciò, l’ipotesi che la più antica miniera della zona, detta Varrona abbia preso il nome da un ipotetico Varrone della famiglia Vibia, forse milite tra le truppe romane di stanza in Valsassina.
Se la proposta alletta, osserviamo, però, che ancor oggi a Premana il nome Varon, al singolare, è comunemente impiegato, in dialetto, in luogo di torrente: si dice, ad esempio, Varon semplicemente per individuare il grande rivo che scende dal passo di Trona a Dervio, Varon de Resghe per indicare l’affluente di Val Fraina, Varon de Pagnona il Varroncello, e, in generale, Varuni al plurale per comprendere più torrenti. Potrebbe essere che ciò sia venuto per antonomasia, partendo dal nome proprio dell’ipotetico romano; viene, però, il fondato dubbio che Varrone sia vocabolo derivato da radice indoeuropea significante acqua corrente.
Convinti della romanità di origine dell’arte dell’escavazione, noi proponiamo altri punti di riferimento.
Strabone, vissuto tra il 63 avanti Cristo e il 19 dopo Cristo, scrive a proposito della Gallia Cisalpina: «I metalli di questa regione oggi non sono sfruttati con gran zelo, poiché si ha più convenienza da quelli della Gallia Transalpina e della Spagna; una volta lo erano invece con cura». Plinio, vissuto tra il 23 e il 79 dopo Cristo, dopo aver affermato che ai suoi tempi non si scavava in Italia, afferma, nello spiegare l’importanza della qualità dell’acqua per ottenere buon metallo temprato: «Questa acqua dov’è migliore ha dato maggior fama al luogo per far nobile il ferro, sì come Bilbili e Turiassone in Hispagna et Como in Italia».
Ci sembra di poter logicamente dedurre quanto segue: tra la conquista romana (196 avanti Cristo) e il 63 avanti Cristo (nascita di Strabone) nella Gallia Cisalpina si estraeva il ferro, e, si sa, i territori siderurgici sono ivi Brescia, Bergamo, Lecco. All’inizio dell’era volgare (vita di Plinio), a Como si lavorava ferro da tempra, ossia ferro per lame.
Ora, l’arte della fucinatura non è mai nata in un luogo lontano da una fonte di produzione del ferro. A Como, certamente, la nascita dell’attività siderurgica non poteva esser venuta dalla Spagna, ma da territori vicini, quali la Valsassina, sia pure un tempi precedenti, provenienza poi sostituita da quella iberica per ragioni di convenienza e di leggi. Quale cospicuo simile esempio, a noi vicino nel tempo, basta pensare a Lecco, oggi città del ferro, a cui la vocazione per quell’arte venne dalle miniere della Valsassina, inattive ora da più di un secolo.
Aggiungiamo due altre note che sorreggono nell’affermare l’origine romana della siderurgia: nel IX secolo già erano stati abbandonati antichissimi forni. Presso la miniera del Varrone chi scrive ha potuto raccogliere scorie di minerale già fuso, in cui lo sfruttamento del ferro è risultato da accurata analisi del 12%, il che dimostra che il metodo adottato per colare era stato quello vetustissimo e primitivo del forno a cumulo.
testo di PIETRO PENSA, da La presenza militare dei galli e dei romani nel territorio orientale del Lario a guardia delle strade e delle miniere del ferro, 1976
pubblicato a cura di ANGELO SALA sul sito www.valsassinacultura.it
Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale