Dal Pian delle Betulle, nel territorio del comune di Margno in alta Valsassina, attraverso gli alpeggi di Ortighera, Oro e Dolcigo, si raggiunge la Bocchetta d’Ombrega entrando in Val Biandino. L’itinerario è fatto di saliscendi, a quote variabili tra i 1.700 e i 2.000 metri, caratterizzato, sulla sinistra, dai grandi lariceti della Val Marcia e, sulla destra, dagli ampi pascoli degli alpeggi che, in gran parte ancora vivi nella stagione estiva, costituiscono, con i loro edifici e il loro lavoro, una realtà etnografica viva, carica dei gesti, dei simboli e dei segni tangibili del passato nei quali sono riconoscibili i tratti dell’identità sociale e culturale di queste terre. Lassù fra quelle antiche pietre si trova il mondo dell’alpeggio con le sue particolari e originali tipologie abitative e strutture architettoniche, la fontana la casera per la produzione del formaggio, i canali intagliati nella roccia e nelle fiancate prative, vere opere di ingegneria idraulica alpina. Strutture caratteristiche in pieno contrasto con il Pian delle Betulle che sembra il catalogo di tutto quanto, nel bene e nel male, è stato costruito sulle Alpi a partire dagli anni cinquanta del Novecento e si candida a rappresentare, in futuro, il museo dell’architettura moderna sulle montagne. Riscatta il Pian delle Betulle, assieme all’attività zootecnica estiva con relativa produzione casearia, la suggestiva chiesetta degli Alpini. E’ la «tenda dell’anima» delle penne nere del Battaglione «Morbegno», 5° Reggimento, Divisione Tridentina, ex voto del fronte greco-albanese nel primo inverno di guerra 1940-41. Ogni anno, la prima domenica di settembre, vi si radunano gli alpini delle vallate del Lario e della vicina Valtellina, nel ricordo perenne di quelli che non sono tornati.
Dal Pian delle Betulle si raggiunge l’Alpe Ortighera e, lasciando a destra la diramazione per l’Alpe Oro, si arriva alla sella del Canton Grande o del Lares Brusaa (1707 metri) dov’è una cappelletta votiva. Si prosegue immergendosi a tratta in un bosco di larici e di ontani fino alla Bocchetta di Olino, dopo la quale il sentiero dirama a sinistra per l’Alpe Dolcigo. Si contorna la testata della Val Marcia, si sale alla Bocchetta di Agoredo e si giunte alla Bocchetta di Ombrega, sempre per saliscendi fino a pochi anni fa prativi. Adesso bisogna farsi largo tra gli infestanti boschetti di ontano che stanno progressivamente invadendo i pascoli. Gli alpigiani li chiamano «morosoi» e un tempo venivano distrutti nella prima fase di crescita dallo stesso bestiame che ne gustava i teneri germogli. E con loro avanza l’ancora più infestante rododendro, vero flagello dei pascoli alpini, che qui chiamano dispregiativamente «cagamucc». Si continua seguendo la linea di cresta del Pizzo Cornagiera, si supera il Passo dei Laghitt (sentiero per la Val Varrone) e il Boecc del Ratt (sentiero per la Val Biandino), e per la costa del Dente si arriva al passo della Cazza che collega la Val Biandino alla Val Varrone. Qui sono più evidenti le tracce della millenaria attività estrattiva: qualche muro a secco, l’ingresso di qualche galleria, il Rifugio Santa Rita che sorge là dove esistevano le baracche dei minatori, ricordano, con immediatezza, gli abbandoni e gli isolamenti invernali ai quali i «fraini» erano costretti. E’ qui che il significato del tracciato va al di là della pura e semplice ammirazione di un paesaggio, peraltro molto bello, con accentuate caratteristiche alpine, spaziando in direzione delle Grigne, verso le Alpi occidentali con il Monte Rosa e nella direzione del Legnone e del Pizzo Alto sulle Alpi centrali con il Pizzo Badile, il Bernina e il Disgrazia. La flora, gli stambecchi, i camosci, i caprioli e le marmotte consentono anche appaganti safari fotografici. Dal Santa Rita un sentiero in quota contorna tutta la testata della conca di Biandino. Qui l’ambiente cambia. Non più i prati e i lariceti del primo tratto ma sfasciumi rocciosi piuttosto aspri. Il paesaggio è però addolcito, giù in basso, dal lago di Sasso, dall’acqua limpidissima nella quale si specchia il Pizzo dei Tre Signori.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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