Ci sono tradizioni, anche secolari, che a un certo punto, emarginate dalle leggi del mercato o dalle mode gastronomiche, vengono dimenticate benché uniche e preziose. È quanto era accaduto allo strachìtund (verrebbe di scriverlo staccato, mentre invece si scrive tutto di seguito come se fosse un marchio) formaggio tipico dei Piani di Artavaggio e della Val Taleggio, così chiamato in dialetto per distinguere questo stracchino rotondo dallo strachì quader che oggi noi conosciamo come taleggio, altro prodotto che ha avuto origine nella omonima valle, bergamasca per orografia ma per secoli terra valsassinese. Eppure, anche se non è possibile indicare con precisione quando il prodotto fece la sua comparsa, il procedimento di lavorazione dello strachìtund faceva parte di quelle ricette tradizionali e genuine che si trasmettevano di generazione in generazione, di padre in figlio. Ancora a cavallo tra Otto e Novecento, come testimoniano le fonti, tra gli allevatori che d’estate portavano il bestiame in alpeggio, la produzione di queste deliziose formaggelle superava addirittura quella degli stracchini quadrati: 280 quintali di strachìtund contro i 100 dello strachì quader nel 1914. Poi piano piano, un po’ per la disaffezione dei figli al lavoro dei padri, un po’ per la diffusione del taleggio la cui produzione era più rapida e per di più tutelata a livello nazionale, la preparazione dello strachìtund, che richiedeva molto tempo e tanta pazienza, cadde in disuso per diversi anni. Sopravvisse nelle case di qualche montanaro che ogni tanto ne preparava qualche forma per il consumo esclusivamente familiare. Poi una ventina d’anni fa Guglielmo Locatelli, bergamino di Vedeseta, ha ripreso e continua tuttora, seguendo la tecnica antica appresa dal padre, a fare il rarissimo formaggio nei mesi estivi quando porta il suo bestiame in alpeggio ai Piani di Artavaggio.

Gustare lo strachìtund è un’esperienza unica ma ancora rara. I buongustai ne apprezzano appieno il gusto sapido mangiandolo da solo, con il pane, con le noci o accompagnandolo nel modo migliore con una bella fetta di polenta fumante e un buon bicchiere di vino rosso, dal sapore corposo e deciso. Ma lo stracchino tondo può conferire un sapore inconfondibile e caratteristico anche alle paste e alla polenta taragna.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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