Marco Ballerini è emblematico perché è partito con i piedi nel passato, ma ha saputo guardarsi in giro, fare delle scelte ed andare avanti con coraggio, sopportando le critiche che un ambiente alpinistico decisamente conservatore non gli ha certo risparmiato.
E’ un vero esploratore; oltre che con gli amici lecchesi arrampica anche, con personaggi fondamentali per lo sviluppo dell’arrampicata sulle Alpi Occidentali come, ad esempio Marco Bernardi o con l’eccentrico arrampicatore ticinese Marco Pedrini. Viaggiando si guarda attorno e si accorge che nel lecchese si sta rimanendo indietro. Sono gli anni del dibattito sul settimo grado che fatica ad essere riconosciuto. Marco è tra i primi ad andare in Verdon e soprattutto è tra i primi a recarsi nel leggendario Yosemite. Siamo nel 1979: forte del premio “Grignetta d’Oro”, attacca le fessure di granito ed ha la conferma di quanto il limite dell’arrampicata in alcune parti del mondo sia andato avanti e di come in Italia, impantanati nella discussione sul settimo grado, si sia rimasti indietro. La sua voglia di esplorare lo porta nel 1980 in Cecoslovacchia, sulle famigerate Torri di Arenaria, caratterizzate da alte difficoltà tecniche e, in caso di caduta, da un livello di protezione molto basso. Torna in Italia deciso a cercare di alzare il suo livello di arrampicata. Incurante delle critiche, o meglio, abbastanza forte da saperle affrontare, sceglie il Sasso d’Introbio per sperimentare qualcosa di nuovo. Si cala dall’alto, buca la roccia martellando con un perforatore manuale e piazza i primi spit da 8 mm. del territorio lecchese realizzando “Oltre il tramonto”.
La strada dell’arrampicata sportiva nel territorio lecchese è aperta. Da allora molti si avvicineranno a questa pratica, anche se inizialmente ancora non completamente autonoma, ma legata ancora a vecchi retaggi alpinistici. Tra questi arrampicatori alcuni sapranno identificare nelle varie strutture rocciose del territorio, fino allora trascurate, molte nuove possibilità verticali. Con una inaspettata capacità, dovuta alle esperienze alpinistiche combinate alle possibilità espressive che l’arrampicata sportiva offriva, alcuni di loro si dedicheranno alla “chiodatura” di itinerari di arrampicata. Tra Lecco e la Valsassina, verranno allestite decine di falesie che attireranno migliaia di praticanti.
Il trapano a batteria sostituirà il perforatore a mano e a Marco si affiancheranno molti altri “chiodatori” tra cui non possiamo dimenticare Alessandro Ronchi, Paolo Vitali, Pietro Buzzoni, Stefano Alippi, Lele Dinoia, “Ciusse” Bonfanti, Norberto Riva, Valerio Casari e, soprattutto, Defino Formenti.
Quella dell’arrampicata sportiva è una storia così ricca e complessa di risvolti sportivi, economici e di possibilità di sviluppo sostenibile del territorio, che, per essere raccontata, ha bisogno di un libro tutto suo.
 

Tratto dal libro
ALPINISMO PIONIERISTICO TRA LECCO E LA VALSASSINA
di P. Buzzoni, G. Camozzini, R. Meles – ed. Bellavite
www.fotostoriche.valsassina.it
www.valsassinacultura.it

Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale