«In Loco Morteroni et Brumani» scrisse Federico Borroneo sull’autografo di una predica, stampata poi con altre nel volume Plebanarum Visitationum Exordia, e aggiunta agli Atti della visita pastorale del 1608 alla Pieve di Lecco nell’edizione curata da monsignor Carlo Marcora per la Banca Popolare di Lecco. «In hunc remotissimum locum» andò di persona (Morterone e Brumano certamente sono considerati equivalenti) e poiché usa il singolare, forse il cardinale ripeté il discorso nelle due chiese.
Il suo viaggio apostolico non dovette essere propriamente gradevole: «Haec altissima montium iuga, quae vos undique cingunt, non sine aliquo vitae nostrae discrimine superavimus», disse; abbiamo valicato non senza pericolo della nostra vita queste altissime catene di montagne che vi circondano; abbiamo calpestato nevi estive e in un sol giorno abbiamo provato quattro diversi cambiamenti di tempo, «et una die quadripartitas temporum vicissitudines experti sumus». Aggiunse che aveva avuto per alloggio una casa formata da pali conficcati nel terreno e da rami d’albero intrecciati con rovi e pruni, annerita dal fumo e dalla caligine.
Con la gente di lassù, poi, fu di una severità impressionante. In questa asperrima valle, diceva, non c’è niente che vi possa incitare al peccato, eppure voi «inique, temere, callide peccatis», peccate iniquamente, temerariamente, furbescamente trascurando i giorni di festa destinati al culto. Voi che avete settimane intere e giorni lunghissimi che magari passate nell’ozio – tuonava – disertate la chiesa e la Dottrina nelle feste per l’ingordigia, «cupiditas», di raccogliere legna e un po’ d’erba. Ma sappiate che questi lavori, questa trascuranza dei dì festivi, questi fasci di poca erba, queste fascine di legna, anziché diminuire, accrescono la vostra miseria e vi preparano la rovina eterna, «aeternam perniciem». E infine l’invettiva: continuate pure a cogliere rami dagli alberi nei giorni di festa, a gloria e onore del Demonio così vi preparerete una catasta di legna sulla quale sarete buttati in un rogo ardente che vi brucerà in eterno, «lignorum struem comparetis, in rogum ardentem vos iniciatis, ac in perpetuum comburatis».
Negli stessi resoconti della visita del 1608 è dichiarato che a Morterone, dove allora gli abitanti erano 320, molti erano quelli che profanavano i giorni festivi, con opere servili, con balli, gazzare, gozzoviglie e cose simili, «qui dies festos servilibus operibus, aut corei tripudiis, comessationibus, aliisque id genus actionibus profanare solent, multi». C’è da sospettare che le fatiche, i disagi e i rischi sopportati avessero messo di malumore il cardinale Federico; infatti non solo strapazza i fedeli, ma vede brutto tutto l’ambiente, «hic sese oculis tantum subiciunt praecipites locorum anfractus, desertae rupes, nuda montium saxa», qui agli occhi appaiono solo scoscesi anfratti, rupi deserte, nudi sassi di montagne dalle quali a stento le greggi strappano col morso le erbe per saziarsi.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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