Tra le sue originalità, il popolo di Premana è geloso custode anche delle norme, qui chiamate «list», che regolavano la vita quotidiana sugli alpeggi. Se ne conserva una del 1821 per l’alpe di Casarsa ma in quella di Piancalade, del 1906, si parla di altre precedenti, del 1786 e del 1694.

I list erano indispensabili in quanto negli alpeggi più alti e vasti la residenza permanente poteva durare anche tre mesi. Durante il giorno uomini e donne, ragazze soprattutto, stavano attorno con le bestie e si ritrovavano al tramonto a mangiare insieme presso la casera. Poi la sera – quanto sono lunghe le sere di montagna con il chiarore che indugia a lungo all’orizzonte – dopo il magro pasto tutti si univano a cantare. E il canzoniere premanese mantiene un ricchissimo quadro della vita e della cultura alpestre di un’epoca che, pur conclusa da pochi decenni, appare come qualcosa di arcaico, inducendo soprattutto il forestiero al sorriso, come a sentire la storia di quel parroco, che le madri di allora benedissero, che aveva voluto che il comune costruisse in ogni alpeggio un fabbricato destinato alle ragazze e alle nubili, perché non accadesse nessuno scandalo. Lo chiamavano «casine di lecc» e quando le fanciulle vi si ritiravano era tutto un trillar di risa mentre il capo alpe aveva il suo daffare a impedire, come obbligavano le regole dei list, che i giovanotti si avvicinassero.

Solamente nei giorni festivi gli alpigiani tornavano in paese per le funzioni religiose. Era uno spettacolo, la domenica mattina, veder giungere dalla mulattiera di Fraina le pastorelle, i «pighèss», vestite con i loro bei costumi, col capo ornato di fiori, sulle gambe i «galinei» gialli e rossi e ai piedi gli zoccoli ferrati, i «zocui dai punc».

Una realtà che per la società tradizionale era il «mondo», fonte di storia e di cultura. Ancora oggi ogni punto del territorio, sa esso pascolo, bosco, sentiero, mulattiera, roccia, ha un nome tramandato, espressivo di fatti, persone, caratteri naturali a esso legati. Così che Premana non è un paese, è una terra. E la si può capire solo percorrendola in lungo e in largo. Forni, Vegessa, Casarsa, Barconcelli, Chiarino, Piancalada, Premaniga, Solino, Deleguaggio, Rasga, Caprecolo, Fraina, sono i grandi alpeggi, i «munt». Qui sulla terra di tutti le famiglie godevano il diritto a pascolare e a costruire una baita. Riunite nelle compagnie erano responsabili dell’uso e del mantenimento delle terre, delle attrezzature e dei luoghi della vita comune, la fontana, i sentieri, le casine, sia quella dei letti che quella del latte.

Questa non è l’ultima eco di un mondo che muore e non appartiene più all’oggi: è invece la testimonianza viva di una cultura autonoma e diversa. A partire dal paese vero e proprio sono complessivamente 120 i nuclei che disegnano la geografia umana della terra di Premana, con stalle e fienili aggruppati lungo la linea di pendenza così da avere l’un l’altro un muro in comune, alcuni vasti da apparire paesi, dal tipico profilo a gradoni. Attorno i campi un tempo coltivati, minutissimi pezzi di terra che a stento provvedevano al consumo e dove a primavera, in nome di un attaccamento antico e radicatissimo, molti tornano a zappare. Si ritrovano qui alcuni dei tratti propri del vecchio nucleo dell’abitato di Premana, dove non ci troviamo davanti a un insieme di case ma quasi a un edificio unico: chi infatti volesse circoscrivere un isolato si accorgerebbe che non è possibile, che le case continuano l’una nell’altra, oltrepassano le strade, per chiudersi poi a monte e a valle in un prospetto compatto e continuo. Non ci sono cortili qui, recinti privati a mediare il passaggio dalla strada alla casa. In compenso la rete dei percorsi è fittissima, attraversa e fora il blocco degli edifici a più livelli, sfruttando le forti pendenze, creando vere e proprie gallerie che sono luoghi di sosta e di riposo e che prendono via via i nomi che connotano un uso comune e quotidiano di secoli: la piazza del consiglio, la croce, la «piazze» sinonimo di piazza per eccellenza perchè ci stava il forno del pane della comunità.

«Quei nomi emblematici – ha sottolineato lo scrittore premanese Antonio Bellati, autore di una decina di volumi dedicati alla sua comunità – sono le uniche cose, le uniche testimonianze che possono raccontare l nostra storia a noi e ai nostri figli; sono le uniche vestigia che con linguaggio vero, perché autentico, possono farci capire il perché del nostro essere qui. Parlano di amore, di solidarietà, di libertà, di sacrificio, di sudore, di vita e di morte. Non ci raccontano di gente sconosciuta ma dei nostri avi: quanto impressiona il pensiero che forse, da chi ha costruito quei muri otto, dieci secoli fa, ci dividono sì e no una trentina di generazioni. Il primo segno di cultura che un popolo solitamente manifesta, è il rispetto del proprio passato».

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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