Tra Otto e Novecento, gli anni del boom delle casere coincisero anche con l’inizio delle attività turistiche in Valsassina. Inizialmente, come per altre valli alpine, si sviluppò il turismo termale. Fin dal 1839 erano note le proprietà delle acque della sorgente termale di Tartavalle, con strutture ricettive risalenti a fine secolo. Carlo Besana nel suo scritto su “La stagionatura degli stracchini gorgonzola in Valsassina” ci consegna delle notizie preziose per alcune considerazioni:

La vallata amena e fertile che corre da Lecco a Bellano e che porta il nome di Valsassina è nota alla maggior parte degli agricoltori della bassa Lombardia, in causa delle acque di Tartavalle. Nel mese di agosto quivi trovate buon numero di persone, che facilmente si riconoscono come appartenenti al ceto dei fittabili, che sfuggendo alla canicola della pianura lombarda, a Tartavalle e nei dintorni riposano alle fatiche campestri e fanno la cura delle acque. Pei buongustai la cura delle acque consiste principalmente nel bere delle bottiglie di barbera e mangiare delle buone costolette di vitello, trote della Pioverna e robiolini di Valsassina.

Al di là dell’ironia del Besana, i fittabili conoscevano la Valsassina perché parecchi di loro erano originari della valle, essendo stati malghesi sino a una o poche generazioni prima, o perché inviavano le loro mandrie (come i famosi fratelli Vittadini di Milano, protagonisti del miglioramento zootecnico valsassinese), o ancora perché nelle loro stalle alloggiava un bergamino valsassinese. Certe connessioni non sono casuali. Sfuggire la canicola, innalzando al contempo il prestigio sociale della famiglia, ha rappresentato lo scopo dei non pochi “negozianti di latticini” che edificarono una villa, o più modestamente una “casa”, in Valsassina, a partire dai Corsi di Milano, primi “villeggianti” di Barzio.

Di pari passo con lo sviluppo dell’attività zootecnica e casearia, e anche grazie alla spinta “promozionale” che quelle attività già note hanno saputo portare al territorio, pure il turismo ha iniziato a crescere. Ed è importante spendere una qualche parola sulla nostra vicenda turistica proprio partendo dai suoi albori.
Come ricorda l’indimenticato Giulio Selva, il primo a scrivere una sintetica guida delle bellezze valsassinesi fu Giuseppe Arrigoni. Nel lontano 1848 “il più illustre storico della Valsassina” – come lo descrive Selva – diede alle stampe un sintetico vademecum della zona, soffermandosi in particolare sulle bellezze del territorio e sulla salubrità delle acque.
La parabola turistica ha il suo punto d’inizio attorno alla fine del 1800, quando la Valsassina diventa uno dei punti d’appoggio preferiti dei ricchi signori milanesi, alcuni originari proprio delle nostre montagne. Possiamo citare la famiglia Buzzoni – di cui parleremo in seguito – che verso la fine del diciannovesimo secolo fece costruire una delle prime ville della zona.

Turismo e arte casearia hanno coabitato in tutti i primi anni del ventesimo secolo, quando pure raggiungere la Valsassina era un problema non di poco conto per i “meneghini” che stavano in pianura. Le puntate nel nostro territorio erano considerate vacanze da ricchi, visto che solo pochi potevano permettersi le cinque ore di carrozza tra il capoluogo lombardo e le nostre montagne. Una volta giunti in Valsassina, i villeggianti potevano però scoprire tutto quello che la valle aveva da offrire. L’attività casearia è spesso dimenticata, quando si parla delle cause che hanno portato allo sviluppo del turismo valsassinese. Al contrario, alla fine del diciannovesimo secolo i grandi caseifici e i loro prodotti ormai noti e famosi erano tra i motivi principali capaci di attirare “forestieri” nelle nostre terre. La bontà dei formaggi locali, rinomata e pubblicizzata su scala nazionale, è stata un incentivo non di poco conto. I grandi produttori hanno dato il via a un periodo d’intenso sviluppo, costruendo dimore, invitando amici da fuori e contribuendo in maniera sostanziale a far scoprire la Valsassina, rendendola una zona appetibile a chi intendesse sfuggire al caos cittadino, rifugiandosi in un territorio semplice e dal carattere rurale.

Le cose mutarono radicalmente quando la società lecchese Sal – Servizi automobilistici lecchesi – inaugurò un regolare servizio giornaliero di trasporto pubblico tra Lecco, Introbio e Taceno; e, con la costruzione del ponte di Cremeno, anche Barzio poté presto godere della nuova viabilità.

Ancora dopo la Grande guerra, zootecnica e attività casearia erano il cuore della vita valsassinese, anche se già si avvertiva forte il vento del cambiamento.
Così ricorda Aloisio Bonfanti nel suo libro “Terre della detta Valsassina”:

Il mondo rurale rimaneva comunque con larghe e diffuse basi in tutto il primo bacino valsassinese, da Balisio alla Rocca di Baiedo”. Un fascicolo di studi economici del periodo intorno al 1930 annotava: “La base dell’economia valsassinese è il caseificio, con la produzione degli stracchini, tipo di formaggio molle di latte intero, seguito poi dalla vendita del bestiame (specialmente vacche giovani). La legna da ardere, il carbone di legna, la villeggiatura, l’estrazione della barite e dello spato (quarzo), la fabbricazione di utensili di ferro e di paioli di rame costituiscono gli altri più importanti cespiti della produzione valligiana.

I primi mutamenti s’iniziano a notare negli Anni Trenta, come è rimarcato dalla testimonianza di Arnaldo Ruggero:

Giù sulla via per Barzio, si notano a destra e a manca, ville grandi come palazzi o piccoline, tanto che si adirebbe a ciascuna di esse il famoso detto parva, sed apta; talune linde e e graziose, altre un po’ presuntuose. In pochi anni il prato ha ceduto alle costruzioni; l’ambiente si è andato modificando, perdendo della sua ruralità.

La crescita del turismo in Valsassina è testimoniata anche da un approfondito servizio apparso su “L’economia nazionale”, rassegna mensile illustrata diretta da Ezio Grey, che definì la Valsassina – in particolare Barzio, Cremeno e Maggio – “il paradiso dei villeggianti”. Citiamo volentieri uno stralcio di quell’articolo – datato maggio 1931 – firmato da Corrado Ragozzino, dove si descrive in maniera mirabile il territorio valsassinese:

Circondate da catene di monti dalle quali ben spesso emergono le alte vette, essa si estende candida d’inverno e verde nelle altre stagioni, ma sempre placida e multiforme, sotto la carezza del sole italico, con le smaglianti sue praterie, colla distesa dei suoi boschi di castani, di lecci, di querce ecc. colle sue pinete salubri e col suo bestiame belante di una festa perenne di aria purissima e di luce. Volentieri la frequentano: l’alpinista che nell’arrampicarsi sulle alte e ben spesso scoscese giogaie, trova il suo particolare diletto; il naturalista che si compiace della ricchezza della sua flora e che ben spesso vi trova piante rarissime; lo sciatore che si esercita con gioia sulle sue cime vertiginosamente ripide, il cacciatore infine per la sovrabbondanza di selvaggina, in cui oltre alla lepre e agli uccelli di passo, figura qua e là il tasso, la cuturnice, il fagiano di monte, la pernice bianca e perfino il camoscio.

Il periodo in cui venne scritto questo articolo, a cavallo tra le due guerre, può essere considerato il vero spartiacque per le vicende storiche del turismo valsassinese. Se alla fine del diciannovesimo secolo c’erano solo “due o tre alberghi”, dopo la Grande guerra ci fu un potenziamento dell’offerta turistica anche grazie al miglioramento della qualità dei trasporti e della viabilità.

Dopo la Seconda guerra mondiale, a partire dagli anni Sessanta del boom economico, si assiste al vero e proprio sviluppo del turismo valsassinese, quando va creandosi quella che viene oggi comunemente definita “l’industria del forestiero”.

Allo stesso modo, e nello stesso periodo, va via via perdendosi quello che molti valsassinesi tendono ancora a considerare il “turismo vero”, il turismo basato sul richiamo costituito da una realtà fondata sull’agricoltura e sugli ottimi prodotti che il territorio offre. Un turismo fatto di famiglie accoglienti, in grado di offrire ai villeggianti tutto il loro sapere, in un particolare e intrigante scambio di culture. Non di rado infatti gli abitanti del nostro territorio e gli ospiti milanesi si trovavano a discutere delle proprie vite e delle proprie esperienze, creando un interscambio culturale che arricchiva entrambi. Il contadino spiega al villeggiante i segreti che danno origine ai gustosi prodotti caseari che trovava ogni giorno sulla sua tavola, come coltivare i campi, come allevare il bestiame. È quello il periodo in cui quasi tutti avevano una piccola stalla, a uso strettamente famigliare, e un pezzo di terreno sul quale coltivare pochi semplici prodotti.
Un piccolo mondo antico, fatto di tradizioni e sapori, che è stato in grado di affascinare per anni il turista cittadino, che in cambio portava notizie dalla grande città e da una società in pieno sviluppo industriale, vista dai valligiani come meta ricca e ambita.

Questo turismo “di scambio” ha animato la Valsassina prima del boom economico, smarrendosi poi progressivamente a partire dagli anni Sessanta, quando molti valsassinesi scelsero di abbandonare i campi e le terre per rinchiudersi nelle fabbriche o dedicarsi ad altre attività artigianali ed edili. Una scelta in molti casi imposta da condizioni economiche precarie, con larghe fasce della popolazione locale attestate ai livelli più bassi della scala sociale e attirate dalle possibilità di crescita di altre attività lavorative.

Già alla fine degli anni Settanta Aloisio Bonfanti aveva messo in guardia dall’abbandono delle tradizioni che sono proprie del territorio valsassinese. Il suo monito di allora vale anche oggi:

La Valsassina deve conservare, di fronte a ogni sviluppo, ad ogni progresso, un patrimonio, sia pure sfoltito e ridotto, di tradizioni, di attaccamento alle cose semplici e pulite, di tutela e rispetto per la quiete e il verde.

In un periodo in cui il turismo rurale sta tornano alla ribalta in modi completamente nuovi ma pure ormai collaudati – basti pensare agli agriturismi piuttosto che alle fattorie didattiche – occorrerebbe forse pensare a un serio e moderno rilancio di quello che è stato il punto di forza e anche la genesi di tanta storia valsassinese: il prodotto caseario di grande qualità, figlio di una terra che difende e valorizza un ambiente caratteristico e affascinante come quello prealpino.

Straordinari cantori di questo periodo e di questa rinascita sono stati due giornalisti che hanno amato profondamente la nostra valle: parliamo di Giulio Selva e Angelo Sala, personaggi schivi quanto capaci di profondissimi rapporti umani con la gente della Valsassina, completamente immedesimati nel costume e nel cuore dei valligiani .

 

Liberamente tratto dal libro
ARTE CASEARIA E ZOOTECNIA – Tradizioni da leggenda in Valsassina
di M. Corti, G. Camozzini, P. Buzzoni – ed. Bellavite
www.fotostoriche.valsassina.it
www.valsassinacultura.it

Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale