La presenza delle case aveva attratto, nel 1857, lo scrittore americano Hermann Melville: «Pittoreschi battelli fanno carico ad ogni villaggio. Villaggi su ogni sorta di siti. Alcuni a mezza via su pendii scoscesi come se fossero scivolati lì per una frana. Chiese su picchi isolati. Gruppi di borghi – recinti. Villaggi a dozzine, a centinaia. Vegetazione terrazzata. Case solitarie su per la china, qui e là. Cascate (la casa di sotto). Niente alberi». Dieci anni dopo arriverà negli stessi luoghi un altro scrittore americano, Mark Twain. Descriverà lo stesso paesaggio, con maggiore precisione: «Un dirupo tutto rughe e cicatrici si leva a un’altezza di milleottocento piedi; su un sottile banco a metà dell’ampio muro si trova una chiesetta che è un fiocco di neve: non pare pù grande di un nido di rondine; orlano la base della rupe un centinaio di giardini e di boschetti di aranci da cui baluginano le bianche macchie delle case sepolte nella vegetazione; davanti due o tre gondole si posano pigramente sull’acqua, e nello specchio brunito del lago, monte, chiesa, ville, boschetti e barche appaiono così vividamente e chiaramente che non si riesce a distinguere dove finisce il reale e dove comincia il riflesso». Anche Twain, come Melville, definisce il fascino del lago di Como «nel gran numero di graziose case e di giardini che si aggruppano sulle sue sponde e sui fianchi dei monti». La schiera delle ville è per Twain simile ad un sipario di teatro, reso tale dalle «grandi scalinate che portano giù all’acqua, con massicce balaustrate di pietra ornate di statue e adorne di piante e fiori di vividi colori». Il giudizio dello scrittore è perentorio: «Oltre ogni dubbio questa è la più stupenda delle scene che ci sono offerte finora alla vista». Il che equivale a porre il Lario tra le perle del paesaggio europeo.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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