Siamo a Crandola, dove viene tramandata la seguente «ricetta della nonna».

Si impasta un chilo di farina con quattro uova e 300 grammi di acqua, la si lascia riposare per una decina di minuti, quindi si stende una sfoglia larga; a parte si prepara un ripieno che, con dosaggi a piacere in base al gusto personale, comprende formaggio d’alpe stagionato e ormai buono solo per la grattugia, frutta essiccata (una delle modalità da sempre impiegate per la conservazione di pere, mele, fichi e prugne che, perdendo almeno il 90% dell’acqua, hanno un accentuato contenuto di zuccheri, preziosa riserva invernale della società tradizionale) e sminuzzata, latte e pane raffermo grattugiato. Era proprio l’impiego della frutta secca ad arricchire e ammorbidire sia il ripieno altrimenti povero di zuccheri, sia la pasta ottenuta con farine di mistura non propriamente soffici. Con la pasta e il ripieno si preparava, e si prepara, un raviolo di grosse dimensioni, lo si cuoce per cinque minuti in abbondante acqua salata e si serve con burro versato accompagnato da uno spicchio d’aglio.

Così la tradizione, con il risultato di un raviolone dal sapore dolciastro, merito della frutta essiccata, da preparare una volta all’anno in occasione della festa patronale.
 
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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