La presenza di numerosi imbocchi o di gallerie, attualmente in gran parte non accessibili o riconoscibili, possono dimostrare la diffusa e irregolare estensione dei banchi mineralizzati. Le miniere più importanti e più antiche si trovano sui fianchi della dorsale che delimita la Val Biandino e l’alta Valvarrone, per la presenza diffusa del Servino.
Il nome “Servino” è stato introdotto nella comunità scientifica nel 1808, dall’ingegnere Giambattista Brocchi, per indicare un’alternanza di sedimenti, che nelle Alpi Meridionali Lombarde, contengono banchi mineralizzati a siderite e barite (BaSO4).
E’ anche curioso che una parte del crinale che risale verso il Pizzo dei Tre Signori, sia chiamata con il toponimo “La Tempestada”, forse a testimonianza della presenza del ferro nelle rocce, con conseguente attrazione di fulmini.

Nel XV secolo i metodi di lavorazione del ferro praticati nelle Alpi lombarde erano più avanzati che altrove. La caratteristica di molti giacimenti di ferro lombardi, tra cui quelli della zona Varrone, Biandino, Trona, Valgerola, è di presentare minerali contenenti un alto tasso di manganese. Questa loro caratteristica oltre a facilitarne la riduzione, abbassandone la temperatura, dà delle ghise di migliore qualità. Inoltre tali minerali sono privi di zolfo e fosforo, elementi che danneggiano la qualità del prodotto finale.

Nel 1599 avviene un fatto per il quale sono stati letteralmente versati fiumi d’inchiostro: Rocco Fondra, segretario del Magistrato Straordinario di Milano, per tutelare i suoi discendenti nei loro possessi minerari dalla rapacità degli altri, devolve al Fisco la sua quota delle miniere del Varrone. La cosa non avrebbe avuto conseguenze, se nel 1619 Tomaso Fondra, desideroso di una ricompensa (in realtà l’unico compenso che ne trasse fu quello di venire assassinato), non avesse rivelato la cosa alle autorità scatenando una lite che fu lasciata cadere solo nel 1780! Alla base di tutto ciò vi è un unico dato di fatto: il minerale veniva estratto dalle miniere del Varrone senza alcun permesso di concessione e senza che al Fisco venisse versata una lira. Se ciò poteva essere lecito nel Medioevo, non lo era più ora che lo stato cercava di riaffermare la sua proprietà sul sottosuolo.
Viene spontaneo chiedersi come le autorità ambrosiano-spagnole non si fossero chieste prima d’ora donde giungesse il metallo per le palle da cannone che commissionavano a Cipriano Denti nelle sue fucine di Bellano. Inoltre non bisogna dimenticare che anche uno spagnolo, don Diego Gratia detto Pradilla, abitante in Milano, era stato coinvolto nelle attività siderurgiche valsassinesi attorno al 1566. Come egli avesse potuto venirne a conoscenza e le preposte autorità no è un mistero, che sembra riecheggiare analoghe vicende che avvengono ai nostri giorni in Italia.

Tratto dal libro
MEMORIE DAL SOTTOSUOLO – Per una storia mineraria della Valsassina
di M. Tizzoni, P. Invernizzi, M. Lambrugo – ed. Bellavite
www.fotostoriche.valsassina.it
www.valsassinacultura.it

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