Per la valle della Troggia, scrive l’Arrigoni nelle «Notizie storiche della Valsassina», «si andava direttamente, e in poche ore, nella Rezia», tanto che vi passarono anche alcuni eserciti. Ciò giustificherebbe l’ipotesi che a Introbio, a custodire l’imboccatura di questa «Via gentium», esistesse una stazione militare fin dai tempi romani. Già che da Introbio si deve partire, sarà il caso di ricordare che in questo borgo ebbe sede il «Palazzo della Comunità» (così lo chiamava, nel ‘500, Paride Cattaneo della Torre), nel quale risiedeva il Podestà di Valsassina e si radunavano «li homini della predetta valle a far loro concilii, a far et creare li suoi sindici, et canepari, li quali habbiano a tenir conto della Repubblica, a scuoder le tanse, taglie, imoste, sale, censi, mensuali, cavalarie, fogolari, perticati, angarie, ordinarj, straordinarj, et altri simili manegi» (la nomenclatura fiscale, come si vede, non era men varia di quella d’oggi).
Troggia è il torrente che forma la bella cascata appena fuor dell’abitato d’Introbio, dopo aver attraversato la conca di Biandino venendo dal lago di Sasso, sotto il Pizzo dei Tre Signori. La cascata della Troggia, detta «Paradiso dei cani», ha abbondante letteratura, e se la merita costituendo uno dei più importanti fenomeni naturali del Lecchese. Il suo «incanto fragoroso», del resto, non ebbe, secoli addietro – come nota il Muttoni in «Verde valle natia» – «la potenza di colpire di stupore anche la gran fantasia di messer Leonardo»? E’ celebre il pensierino lasciato scritto dal grande di Vinci: «Invalsasina infra vimognio et introbbio amandesstra entrando per la via di leccho si trova la trosa fiume che chade da uno sasso altissimo e chadendo entra sotto terra elli finisscie il fiume». Mario Cermenati s’affanna a spiegare il senso di questa affermazione che potrebbe sembrare strana: e lì finisce il fiume. In «Leonardo da Vinci in Valsassina» egli afferma: «Io amo supporre che Leonardo abbia parlato della scomparsa del fiume, in senso metaforico. La nube formantesi per gli spruzzi abbondanti, che si spandono nell’aria quando la colonna d’acqua s’infrange dapprima sulle sporgenze delle rupi, e poi violentemente batte in terra, non permette più di vedere dove il fiume vada a finire; sicché sembra che si sprofondi nel sottosuolo». A conforto della sua opinione il Cermenati osserva che Paride Cattaneo della Torre accenna a tal fenomeno, dicendo della Troggia che «da un alto precipizio tanto strabocchevolmente dirocca, che al basso giungendo né fiume più né acque veder si pole et questo dal fiume, vento, nebbia, polvirio, che fino alle stelle se ne sale adviene». Non dimentica, infine, il suo venerato Stoppani ricordandone «un’espressione che s’avvina a quella di Leonardo, là dove accenna al burrone “entro il quale si vede sparire la cascata, precipitandosi quasi entro la gola di un pozzo inferiormente sbrecciato”. Quello sparire entro il burrone non equivale forse, in linea metaforica, alla frase vinciana?», si chiede il Cermenati.
La gente d’Introbio sale in processione a Biandino il 5 d’agosto d’ogni anno per rinnovare il ringraziamento alla Madonna della Neve nella chiesetta che le è dedicata, perché per sua intercessione il paese scampò al colera che nel 1836 infierì in Lombardia (altri borghi della Valsassina e del Lecchese, riferisce l’Arrigoni, «ne furono talmente affetti fino a perdere un terzo degli abitanti»). La festa agostana aveva però origini più lontane della processione; già la ricordava fra Bernardo Tartari nella «Cronichetta del Convento de’ Capuccini di Lecco» scritta nel 1718. Nel romanzo «Lasco» Antonio Balbiani fa raccontare che «nel paese è costume che tutte le giovani spose si rechino dalla Madonna, su a Biandino, a riceverne la benedizione poco prima di celebrar le nozze.
La strada per Biandino è decisamente brutta. Portano su con la jeep e non è gradevole. Ma la fatica di un viaggio disagevole o di una lunga camminata ha un compenso nel godimento con cui si è ripagati. Chi avesse interessi geologici porga orecchio allo Stoppani il quale, accennando al ghiacciaio che dal Pizzo dei Tre Signori discendeva per la Troggia o valle di Biandino, invita: «Vada su a vedere i cosiddetti Prati di Biandino, e tutto l’interno di quella valle fino al piede del Pizzo, chi vuol avere un’idea di rocce arrotondate, e di tutto il fondo d’unva valle, tutta rupestre in origine, e ridotta a formare, per effetto dell’antico ghiacciajo, quasi una conca liscia, morbidamente ondulata, coperta di pascoli». Se, per arricchire la descrizione dell’«ameno piano del monte di Biandino» e «della bellezza, et della qualità» di Abbio e Biandino, Paride Cattaneo della Torre si sofferma soprattutto sul particolare che «questi fertilissimi Monti sono molto fertili et fecondi d’herbazzi et pascoli al tempo della state per li bestiami», il Magni nella «Guida illustrata della Valsassina» fornisce qualche migliore informazione. «La Valle della Troggia, scrive, offre all’alpinista le più grate ed emozionanti sorprese; dapprima monti che la stringono scoscesi, ripidi, e acque che rimbalzano spumeggianti giù dalle rocce fra gli enormi macigni; poi i pascoli estesi, erbosi, morbidi, che si stendono sul piano, che salgono dolcemente sui fianchi della Valle. Le acque limpidissime solcano silenziose la verdeggiante conca cinta dal Pizzo dei Tre Signori (m 2554), dalla Cima di Camisolo (m 2156), dallo Zucco di Valbona (m 2133), dal Pizzo Varrone (m 2332), dalla Cima di Biandino (m 2020), dal Cornagera (m 2048)». Dalla Bocca di Biandino, aggiunge, «ci si apre innanzi la stupenda conca costituita dagli alpeggi di Biandino e di Sasso. Nel centro della conca è posta la Chiesetta della Madonna della Neve (m 1589) eretta nel 1664 dalla Famiglia Annovazzi di Introbio e dotata di un piccolo benefizio». E afferma altresì: «Biandino è una delle migliori località delle Prealpi, punto di partenza di importanti escursioni, può essere già per sé meta di una bellissima gita». Una gita, appunto bellissima, in Biandino raccontò Ariberto Villani nel numero dell’agosto 1934 della rivista «Paesi manzoniani», gita compiuta nella tradizionale festa della Madonna della Neve per inaugurare la fontana che la SEL aveva voluto dedicare alla memoria della «mite figura di Uberto Pozzoli, il fervente apostolo della montagna, l’apprezzato scrittore di cose nostre».
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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