In uno dei punti strategici delle Orobie, il Passo di Camisolo tra la Val Biandino e la Val Torta sotto la piramide del Pizzo dei Tre Signori, sorge dal 1921 il Rifugio Alberto Grassi della Società Escursionisti Lecchese (SEL). È una sorta di passaggio obbligato per chi, arrivando dalla Val Biandino, dai Pian di Bobbio o da Valtorta, vuole affrontare l’erta finale per la cima del Pizzo. Ma è anche il punto di appoggio di tanti itinerari in quota, compreso il Sentiero 101 delle Orobie occidentali. E, non ultima caratteristica, immerso com’è in un grande spazio silenzioso tra picchi, pascoli e foreste, materializza quei concetti dell’incontaminato, della tranquillità e del relax che ne fanno una meta ambita di una montagna cercata e vissuta, in antitesi ad un mare sempre più affollato e chiassoso, da un numero significativo di vacanzieri. «La» Grassi, che da queste parti continua ad essere identificata al femminile, nel solco della tradizione delle «capanne», termine con il quale furono indicati i primi ricoveri in quota, accentua poi questa caratteristica… rosa, essendo affidata dall’autunno del 2006 ad Anna Bortoletto.

Trent’anni, una laurea in scienze forestali e un lavoro – «operaia forestale» – che, spiega lei stessa, è perfettamente compatibile con l’impegno di rifugista, Anna Bortoletto, origini padovane (è di Cadoneghe), è una esperta rocciatrice e una provetta sci alpinista. Ha all’attivo anche la partecipazione ad alcune spedizioni alpinistiche extraeuropee e un curriculum nel quale, a dispetto della giovane età, ci sono anche quattro anni di gestione del Rifugio Bianchet del Cai Belluno, tra i monti della Schiara nell’Agordino. Alla Grassi, Anna si è inserita in un solco caratterizzato dalle figure di storici «capanat», cominciando dal leggendario «Pianel», primo di una serie continuata da Cesarino Buzzoni pioniere dello sci di fondo, disciplina nella quale ha gareggiato anche con i colori della nazionale, Battista Rupani, Cesare Invernizzi, Evangelista Tantardini e Mauro Buzzoni. E alla Grassi Anna ha dato subito la sua impronta, colorando così di rosa la più bella cima del lecchese, il Pizzo dei Tre Signori. Con la sua gestione – che vede l’apertura del rifugio tutti i fine settimana e nelle festività infrasettimanali, e l’apertura continuata, tutti i giorni, dalla metà di giugno alla metà di settembre – alla Grassi sono arrivati suoni e sapori. I primi con alcuni concerti in quota, che hanno introdotto sulle montagne lecchesi l’esperienza dei Suoni delle Dolomiti che da parecchi anni sono una delle attrattive dell’estate trentina; i secondi con alcune giornate gastronomiche, legate in particolare alle risorse disponibili sul posto, e cioè i frutti di bosco, le erbe alpine, i formaggi degli alpeggi.

Questi ultimi in particolare, grazie soprattutto alla contiguità della Grassi con l’Alpe di Camisolo, dove gli alpigiani di Valtorta producono un formaggio tipico che ha lo stesso nome dell’alpeggio, hanno un posto di rilievo nell’offerta gastronomica del rifugio. A proposito della quale c’è una cosa da raccontare. Quando ne assunse la gestione, Anna sapeva che la fama della Grassi era legata anche alla sua cucina. E la cosa le incuteva un po’ di timore, provenendo da una tradizione gastronomica diversa. «E così ho dovuto imparare a preparare i pizzoccheri – confessa – e devo esserci riuscita davvero bene visto il successo che hanno, ma c’è gente che viene apposta alla Grassi perché sa di trovarci i miei canederli». In cucina, e nelle speciali giornate gastronomiche, Anna mette anche le competenze consolidate con i suoi studi e con la pratica… sul campo: i gnocchetti verdi per i quali si utilizzano anche erbe alpine che crescono spontaneamente, l’arrosto alle erbe con il radicchio selvatico che è l’ingrediente anche di un apprezzatissimo risotto, il succo di fiori di sambuco, per finire con alcune grappe aromatizzate con la flora spontanea.

Ad un rifugio che, pur avendo mantenuto il carattere spontaneo e spartano di un ricovero alpino che è raggiungibile solo a piedi e con escursioni che, pur non presentando difficoltà, hanno in alcuni casi una significativa lunghezza e un accentuato dislivello da superare, ti prende per la gola – piace ricordare che alla Grassi è possibile gustare anche la polenta bianca veneta, varietà tradizionale bianco perla, integra, cioè non privata del germe –, Anna Bortoletto aggiunge nell’estate 2009 un’altra significativa novità. «Invito tutti gli appassionati a venire alla Grassi a vedere le stelle. Lo faremo nelle sere in cui cambia la luna e ci sono quindi le condizioni migliori per l’osservazione che, oltre agli strumenti necessari, si avvarrà della presenza di un esperto».

E assieme alla mappa del cielo, sarà l’occasione per tracciare anche la mappa della zona. Dalla Valsassina: partendo dalla Colmine di San Pietro per i Piani di Artavaggio e di Bobbio alla volta del Passo di Camisolo; da Introbio e Biandino per la valle della Troggia e la conca di Biandino; da Margno e Casargo per l’Alpe Paglio e il Pian delle Betulle lungo la dorsale dal Cimone al Passo della Cazza e la Bocchetta di Piazzocco; da Premana per l’alta Val Varrone. Dalla Valtellina: partendo da Morbegno e risalendo le Valli del Bitto di Gerola e di Albaredo. Da Bergamo per la Val Brembana e quindi le tre valli che diramano da Olmo per Valtorta, per Cusio con i Piani dell’Avaro, per Mezzoldo con il Passo San Marco. È la vasta area geografica, nel cuore della montagna lombarda, alla quale fa da punto di riferimento il Pizzo dei Tre Signori, il pilastro delle Orobie che domina la Valsassina lecchese, la Valtorta bergamasca e le Valli del Bitto valtellinesi, e che porta nel proprio nome la presenza degli antichi confini con la Repubblica di Venezia, il Ducato di Milano e i Grigioni. Tre Stati e Tre Signori che raccontano la storia e danno il nome a «una delle montagne più belle delle Alpi Orobie e di tutte le Prealpi lombarde», definizione di Angelo Gamba integralmente sottoscrivibile.

Storia anche di fatiche – qui per secoli fu praticata l’attività mineraria della quale si vedono ancora oggi gli imbocchi delle gallerie e le discariche del materiale di scarto – e di un rapporto con la montagna consolidato nella altrettanto secolare attività zootecnica. Storia anche di violenze, visto che il rifugio fu raso al suolo nell’autunno del 1944 per impedirne l’utilizzo da parte delle formazioni partigiane, ma la Sel lo ricostruì subito a guerra finita, inaugurandolo già il 27 ottobre 1946. «Ma è storia anche di amicizia, della quale ho tantissime testimonianze dirette» racconta Anna Bortoletto che attribuisce anche ai meriti di tanti amici la possibilità di continuare l’impegnativa gestione di un rifugio come la Grassi nella quale a darle una mano c’è il fratello. Gli amici, è il caso di ribadirlo, si vedono davvero nel momento del bisogno. Un esempio: qui il negozio più vicino è a qualche ora di cammino, il tempo necessario per salire e scendere fino alla conca di Biandino dove c’è il servizio delle jeep da e per Introbio. Quando manca qualcosa, quasi mai si può lasciare il rifugio per andare a fare la spesa. E allora ecco che intervengono gli amici. Una telefonata e la spesa è fatta e nel giro di un paio di giorni arriva in quota – la Grassi è a quasi duemila metri – equamente distribuita negli zaini.

Quest’anno poi di cose da raccontare ce ne sono. Cominciando da un inverno straordinariamente nevoso. «Certi fine settimana a gennaio e febbraio siamo arrivati al rifugio trovando anche tre-quattro metri di neve. Con la gente che, al fine settimana, arrivava lo stesso, forse attratta proprio anche da questo straordinario spettacolo. Un inverno, questo che ci siamo lasciati alle spalle, che ha visto un accumulo di non meno di sette otto metri di neve». I racconti, che sono parte integrante dell’andare in montagna, sono anche nel dna di Anna Bortoletto che, piace ricordarlo, nel 2007 si è classificata seconda al Premio di narrativa Carlo Mauri. Con una testimonianza diretta, dal titolo «Diario di una rifugista» che le valse questa motivazione: «Da una esperienza vissuta con una profonda passione sentita per la montagna, escono con poesia e concretezza le tessere di un mosaico che incanta e invita a mettersi in cammino». Un invito che facciamo nostro. Appuntamento al Rifugio Grassi.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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