Da decenni è intitolato ad Arnaldo Bogani, ma c’è ancora chi si ostina a chiamare questo rifugio sulle pendici del Grignone col suo primo nome: Capanna Monza. Un segno inequivocabile dell’attaccamento che i monzesi nutrono verso questo ricovero alpino a quota 1816. Del resto al Poiat, dove lo stesso rifugio sorge, i soci del club alpino della cittadina brianzola ci venivano già nei primi del Novecento e quando sul finire degli anni cinquanta il progetto per il nuovo edificio trovò finalmente attuazione, il legame si rafforzò ulteriormente. Da allora questo rifugio dai colori vivaci – si raggiunge da Cortenova lungo la Valle dei Mulini, da Primaluna per il Passo della Stanga e il Passo dello Zapel, da Mandello per il rifugio Bietti e la Bocchetta di Prada, da Esino per il Cainallo e il Vo di Moncodeno – è rimasto il loro punto d’appoggio privilegiato, da gestire con impegno e passione. Non è un caso quindi se, nel 1957, l’edificio venne ristrutturato con i fondi lasciati dal presidente della sezione CAI, Arnaldo Bogani, cui lo stesso rifugio fu dedicato. La struttura attuale, nonostante i lavori di ristrutturazione degli ultimi anni, è più o meno la stessa: tre piani, cucina e sala da pranzo con 50 posti a sedere, camere con 50 posti letto e servizi igienici, terrazza dove, d’estate, possono pranzare una sessantina di persone. Attorno l’anfiteatro è quello imponente del Grignone con l’inconfondibile cresta Piancaformia a segnare l’orizzonte e la ghiacciaia di Moncodeno a poche centinaia di metri.
A proposito: le grotte sono una caratteristica della zona, ne sono state individuate circa 500 tra cui particolarmente nota è la voragine «W le donne» profonda 1150 metri, ma gli speleologi ne scoprono, ogni anno, di nuove a testimonianza della complessa conformazione geologica del Grignone.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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