Guida illustrata della Valsassina:
«Premana è un grosso villaggio pittoresco e singolare, appartato nella valle selvaggia, lontano dalle consuetudini del mondo. La natura dei suoi abitanti, il linguaggio, il modo di vestire, hanno sempre richiamato l’attenzione di tutti quelli che l’hanno visitato o che ne hanno sentito parlare; e invero tante cose curiose si potrebbero ivi osservare. I Premanesi, an,che dall’aspetto esteriore si distinguono dalle popolazioni circostanti, hanno corporatura più complessa; le donne vestono, dicesi per un voto antico, o, secondo altri, per antichissima usanza, un costume speciale, simile a quello che si trova in qualche remota parte della Valtellina; cappello di feltro grossolano o un fazzoletto a grandi quadretti, una succinta e ruvida veste di mezzalana color marrone, una pettorina rigida e grossa a vaghi ricami, camicia con collo alto e maniche lunghe, pieghettate e abbellite da pizzi, che restano scoperti, perché nelle grandi occasioni non si porta il corpetto; una lunga catenella pendente dalla cintola con forbici, coltello, chiavi; calze rosse di lana e zoccoli con larghe guigge, che coprono tutto il piede. Singolari i costumi in occasione di nozze; pranzi interminabili, nei quali entrano piatti abbondanti in modo incredibile, questi pranzi li chiamano: il pasto. Poi si trovano a Premana prodotti strani e speciali, come la mascarpe pegade, brutto ma piccantissimo formaggio a base di ricotta, ricordato e non usato in nessun altro paese. I Premanesi emigrano per costume antichissimo, specialmente a Venezia; torvati lontani dalla loro patria sono cortesi, pronti, intelligenti, ma quando rientrano nel loro paese, riprendono la loro natura di uomini segregati. In patria vivono di pastorizia, poiché il clima non permette che la coltivazione di segale, orzo, fraina, canepa e castagne e si dedicano a certe industrie alle quali sono attaccati per tradizione: la lavorazione del ferro, che dà rinomatissimi ed eccellenti ferri da taglio, anche dei più fini e speciali, come strumenti per chirurgia, rasoi, ecc., e pregevoli lavori in ferro battuto. Gli uomini parlano volentieri il dialetto veneto, ma le donne usano il loro dialetto con certe inflessioni dolcissime e colle parole che terminano quasi tutte in e per attenuarsi della a finale. Il villaggio è molto pittoresco: le case addossate in modo irregolare le une alle altre, lasciano appena il passo per tortuosi vicoletti, per scalette, per stradicciuole contorte e angolose, spesso sormontate da travature e da stanze; sono aggrappate alla falda del monte, piccole, lerce, cadenti, puntellate quasi le une alle altre; il tetto della casa a valle copre un terzo della strada ed è a sua volta coperto dal tetto della casa a monte, sicché la strada non vede mai il cielo e la luce vi scende obliquamente per il vano che corre fra l’altezza del primo tetto e quella del secondo. La varietà dei colori, la forma e la disposizione delle finestrole, delle logge, degli antri, offrirebbero tanti soggetti al pennello di un artista, tanto più che da quelle finestrelle, da quelle rozze logge, da quei balconi disposti nei modi più singolari si scorge un paesaggio non molto vasto, ma meraviglioso. Nella parte più occidentale del paese però, lungo la carrozzabile, vanno sorgendo belli e moderni fabbricati, uno rovinò il 22 febbraio 1925 per un improvviso smottamento del terreno, villette che promettono agi e freschezza, e un grande stabilimento moderno, Sanelli e Collini, dove si producono ferri da taglio. Dal piazzale della Chiesa si domina un bel paesaggio: ecco le ultime propaggini del Muggio, che scendono per la costa boscosa di S. Ulderico e del Sasso Dagone fino alle belle praterie di Piazzo; ecco i larici che vengono a perdersi dalla Costa di Paglio giù nei prati di Faedo; ecco la alpestre Val Marcia che precipita per alti gradini di fosco verrucano; su in alto le fanno corona il Cimone, Olino, il Cornagera coi Pascoli di Dolcigo e di Ombrega; ecco a sinistra profonda e selvaggia la Valle del Varrone, dala quale escono mugghiando le acque che alimentano trote squisite».
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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