Il territorio di Dervio si annuncia, venendo da Dorio, con le merlate mura di un’antica rocca turrita posta – uso parole dell’Arrigoni da Notizie storiche della Valsassina – «sur uno scoglio di schisto micaceo, contro cui batton e spumeggiano le adirate onde del lago».

Attorno al castello s’ammucchiano le vecchie case d’un piccolo villaggio – che più propriamente può vantare il nome di borgo, essendo stato cinto di mura – chiamato Corenno, Corenno Plinio dal 1863 come annota Carlo Andreani nel volumetto La Pieve di Dervio. Nella Guida generale ai grandi laghi subalpini di Giansevero Uberti pubblicata nel 1890, otto anni prima della anzi detta Pieve di Dervio, si afferma che «Plinio» fu appunto aggiunto «volendosi che quivi esistesse una magnifica villeggiatura di cui fa menzione Cajo Plinio in una sua lettera». La «spiegazione» è ripetuta da Santo Monti in nota agli atti delle visite pastorali del vescovo comacino Feliciano Ninguarda trascritti nel bollettino della Società Storica Comense del 1895.

La più recente Guida al lago di Como di Sandro Chierichetti racconta che Corenno Plinio «è uno dei più caratteristici paesi lariani, amato da Plinio il Vecchio (donde il nome del paese)». È da ricordare che per Plinio il Vecchio s’intende Caio Plinio secondo, nato a Como, investito di cariche pubbliche dall’imperatore Vespasiano e morto a Stabia sotto l’eruzione del Vesubio del 79 dopo Cristo; non si sa niente di una predilezione dell’autore della Naturalis historia per Corenno.

Proprietario di ville sul Lario («hius in litore plures villae meae») era Caio Cecilio Secondo, diventato Caio Plinio Cecilio Secondo dopo esser stato adottato dallo zio materno Plinio il Vecchio che ne curò l’istruzione in Roma, conosciuto perciò come Plinio il Giovane o Minore, nato pure a Como nel 61 o 62 dopo Cristo e fatto console da Traiano in onor del quale compose un «Panegirico». Le due ville che egli descrive in una lettera a romano, quelle che «maxime ut delectant, ita exercent», che cioè gli davano il maggior piacere e molto da fare, la tragedia alta sugli scogli («imposita saxis») e la comedia sulla riva del lago («lacum tangit»), sono state collocate a Bellagio e a Lenno. Gli interpreti dell’epistolario pliniano hanno invece assegnato a Corenno la villa a strapiombo sul lago dalla quale, secondo il racconto elogiativo fatto dallo stesso Plinio all’amico Macro, una donna si sarebbe gettata in acqua insieme al marito colpito da male inguaribile, per morire uniti. Non è poi eccessivamente importante il sapere se l’uno o l’altro Plinio abbiano avuto legami specifici con Corenno; è certo che entrambi hanno amato il lago domestico, il nostro Lario, e il fatto che un nome tanto prestigioso sia congiunto a un paesino non può che tornare a onore del paesino.

Corenno fu già nella Comunità di Dervio, che comprendeva altresì Dorio, Vestreno, Sueglio, Introzzo, Tremenico e Aveno (ebbe a Dervio gli stessi confoni la Pieve, organizzazione ecclesiastica d’antichissima origine che ricalcava giurisdizioni d’epoca romana e che è durata fino a pochi anni fa). I paesi della Val Varrone nel XIII secolo si staccarono da Dervio; nel secolo XV fu la volta di Dorio a separarsi. Nel 1520 scelse l’autonomia anche Corenno, che ebbe successivamente eretta parrocchia propria, nel 1560: primo parroco fu Giovanni Battista Andreano, che era curato già da quarant’anni.

Dal 1° di gennaio del 1928 Corenno è stata «restituita» a Dervio, in forza di regio decreto 3 novembre 1927, registrato da Ariberto Villani nella sua Guida illustrata di Lecco e paesi finitimi che vide la luce presso il Grassi di Lecco giusto in quell’anno 1928. Molte delle aggregazioni di quel tempo furono sciolte all’instaurarsi della Repubblica; Corenno è rimasta con Dervio, come tutti i comuni che facevano corona al borgo di Lecco sono rimasti uniti. Corenno ha però conservato la propria sede parrocchiale, anche se ora fa comunità pastorale con Dervio.

L’essere parte del comune di Dervio non toglie certamente a Corenno il suo spiccatissimo carattere, inalterato nei secoli.

Il castello di Corenno (vedi scheda) è stato da Carlo Perogalli – in un convegno sulle fortificazioni del lago di Como svoltosi a Villa Monastero di Varenna nel mese di maggio del 1970, del quale Cairoli di Como ha poi pubblicato gli atti – indicato quale esempio di castello-recinto perché preordinato a scopi di difesa, in ciò differenziandosi dal castello-abitazione feudale. Esso fu costruito tra il 1363 e il 1370 sui ruderi di una rocca più antica, asserisce l’Andreani richiamandosi all’Arrigoni. La sua conservazione è discreta, assicurava il Perogalli riferendo che tal castello «presenta una forma irregolare e non definibile in termini geometrici, sebbene compatta e con vaga tendenza al quadrilatero, possiede una torre quadrata sul lato a monte (cioè verso l’attuale strada) e una torre d’ingresso a C sul lato opposto» (questa torre è detta «del tipo a vela»).

Corenno dovette possedere altre fortificazioni; lo si deduce dagli Statuti trecenteschi; ne accenna l’Andreani ricordando «avanzi di torri ed arcate nelle vie del paese, anticamente dette Calloggie, che venivano chiuse da massicce ante», insieme al Fossato a monte del castello, «occupato in parte dallo stradale nazionale, e il rimanente riempito nel 1830-31»; ne ha parlato nel convegno citato Mariuccia Belloni Zecchinelli sostenendo che «è tutto da chiarire» il rapporto fra queste opere e il castello. Il carattere di borgo fortificato è, del resto, notato da tutti gli scrittori del passato. Lo testimonia esplicitamente il settecentesco Larius di Anton Gioseffo della Torre di Rezzonico quando dice che la rocca di Corenno «fuit, prout tempora ferebant, munitissima», fu assai fortificata, come i tempi richiedevano, e sopportò molte molestie per guerre, «ut nostri tradunt historici», come attestano i nostri storiografi, specialmente quando nel XV secolo il villaggio fu incendiato e distrutto nella parte verso il Lario, essendo comandante per le truppe cesaree il leucense Francesco Morone.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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