Sebbene non compaiano in questa zona le numerose testimonianze valsassinesi della civiltà gallica e gallo romana, Bindo possiede nei dintorni della Villa De Vecchi qualche reliquia, per la verità non ben controllata, riferibile ai tempi della romanità . Naturalmente questo dice poco sull’esistenza o meno dell’abitato, per il quale quasi nulla offre anche l’appellativo, nato o da un nome di persona o da un termine che richiama la terra a breve lingua su cui si adagia il paese ai piedi di ripidi pendii. Rimane la tradizione che la chiesa di Bindo, isolata su breve colle, sia una delle prime della Valle, ma la sua dedicazione attuale nulla ci dice se non che Bindo traeva importanza dal trovarsi sul percorso di una strada della Valle: essa è infatti dedicata ai Santi Biagio e Lazzaro, protettori appunto dei malati e dei viandanti; né è privo di significato che verso Taceno si trovasse il palaredo, che indica la sosta per il cambio dei cavalli.

D’altra parte si sa bene, dalla Descritione della Valsassina compilata da Paride Cattaneo della Torre nel 1571, che la via antica andava dritta da Cortabbio a Bindo a Taceno. Probabilmente essa attraversava il paese, lambiva la chiesa, donde si diramava la aspra salita di Crandola e Vegno, e proseguiva verso la Maladiga di Taceno; si teneva cioè più a monte rispetto alla provinciale segnata ai primi del 1700 secondo tracce ancora oggi riscontrabili, ciò per evitare le allora disastrose piene del Pioverna.

Il loco Bindi appare solo nel 1200; si può essere certi però che l’insediamento fosse più antico: infatti un tratto di territorio di Bindo, chiamato nel basso Medioevo Cavadiga, era di antichissima proprietà regia ed era fortificato. Il fatto di trovare il Gagg a monte di Villa De Vecchi e, quasi al confine settentrionale, la valle della Comia, ed ancora il forte censo pagato costantemente da Bindo alla Camera Arcivescovile, fanno pensare che il territorio di Bindo soggiacesse a una serie di diritti regi o fiscali, assunti in parte dai militi Longobardi (il gehage era per essi il bosco comune da taglio) e successivamente all’Arcivescovo, che nel 900 viene investito delle autorità regie già dei conti di Lecco caduti in disgrazia; e infine anche dalla comunità locale (la Comia può essere il resto di un vocabolo che indica lo sfruttamento comune delle terre e dei pascoli). In questo modo non risulta strana la tradizione della presenza continua di un arcivescovo milanese, nel quale qualcuno vede Ariberto d’Intimiano, appunto colui che meglio di ogni altro tentò – anche aldilà dei privilegi concessigli dai re – una politica di acquisti per la chiesa milanese, culminata con l’usurpazione della corte regia di Lecco.

Forse così è possibile riportare il nome del paese al germanico patto di colleganza, il sich binden, che poteva unire a sbarramento militare le due pareti della valle.

Purtroppo ben poco sappiamo delle fortificazioni di questa terricci ola, Bindo, che nella seconda metà del 1500 contava 10 fuochi con 73 anime. Singolare il fatto che il suo territorio pagava all’arcivescovo di Milano un altissimo tributo, il più alto di tutta la Valsassina. Alcuni storici, come accennato, dicono che vi tenesse residenza un arcivescovo di Milano e che ivi Ariberto da Intimiano alloggiasse sontuosamente per due mesi l’imperatore Corrado.

Bindo sorge poco discosto da Cortenova, di cui oggi è frazione. L’Arrigoni e il Bognetti giudicano che il nome Cortenova riveli una contrapposizione all’antica corte della Valsassina. Noi pensiamo che il luogo sia stato residenza di chi reggeva la valle, ossia dell’arcivescovo, quando questi subentrò ai conti di Lecco dopo la morte di Attone, alla cui moglie era rimasta in eredità la corte di Bajedo. Interessante, in proposito, è l’antica dedicazione della chiesa di Cortenova a Sant’Ambrogio con un altare a San Protasio.

Il campanile dell’attuale chiesa di Bindo, che forse un tempo ebbe un’altra dedicazione, sorge dalla base di una torre medioevale ben solida. Come si è accennato, presso la chiesa sbocca la strada proveniente da Vegno. È da supporre che vi passasse accanto l’antica via per Bellano, giacché la sede dell’attuale provinciale doveva essere sovente invasa dalle acque della Pioverna.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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