Nella chiesa di San Giorgio in Mondonico di Dorio l’affresco occupa quasi tutta la parete settentrionale della navata ed è suddiviso in sei riquadri di differenti dimensioni: due nella fascia superiore e quattro in quella inferiore. Il riquadro di maggiori dimensioni è quello dedicato al santo titolare della chiesa: Giorgio inforca un cavallo bianco e trafigge con la lancia il drago. Sulla destra è la fanciulla al cui soccorso giunge il santo; più in alto un castello e sulla sinistra una chiesa; pregevole la rappresentazione del paesaggio. A lato è posta l’immagine della Madonna con il Bambino. Inferiormente, da sinistra, la prima figura è quella dell’arcangelo Michele nella caratteristica iconografia della pesatura delle anime; accanto è Sant’Antonio abate, vegliardo canuto con ai piedi un irsuto maialino; nel terzo riquadro è la Madonna in trono con il piccolo Gesù, che ha la stessa impostazione di quella del riquadro superiore; nell’ultimo riquadro è la figura di un santo vescovo che indossa sontuosi paramenti.

 

A Mondonico dunque, come accennato, si trova l’antica chiesa parrocchiale, dedicata a San Giorgio. Difficile dire – anche per Oleg Zastrow che l’ha fatta oggetto di studi – quando sia stata costruita perché troppo rimaneggiata, pur mostrando essa qualche segno di parentela con l’epoca del romanico. Tale chiesa non compare nel Liber notitiae Sanctorum Mediolani, il notissimo repertorio delle chiese ambrosiane della fine del XIII secolo. Ma quell’elenco, ricorda lo Zastrow, ignora senza spiegazioni tutte le chiese dedicate a San Giorgio (insieme a quelle intitolate a Sant’Ambrogio); essa tuttavia doveva allora già esistere, considerando tra l’altro che nel Liber per la pieve di Dervio sono nominate otto chiese mentre nel riassunto si afferma che ce n’erano dieci: «Prepositus de derui sine exemptis habet in ecclesiis X altaria XIII». Singolare coincidenza, negli atti cinquecenteschi delle visite di Feliciano Ninguarda, vescovo di Como, si nomina Doro, «villa sparsa de foghi 40, dove è una parochia dedicata a…», lasciando via il santo titolare.

Su una parete dell’oratorio, come accennato, è conservato un grande affresco quattrocentesco. Lo Zastrow, che l’ha accuratamente esaminato e illustrato, assicura che il pittore dal cui pennello è uscito deve ritenersi «di vaglia certamente superiore a gran parte di coloro che operarono nel territorio circostante durante il XV secolo», tanto da sembrare «già pienamente proiettato verso una sensibilità di gusto rinascimentale». La data d’esecuzione è scritta in basso: 1492 (l’Andreani aveva invece letto 1422, affermando che tale data era «testificata da persone degne di fede che la osservarono nella loro gioventù»). Il nome dell’autore è pure scritto ma è di difficile interpretazione: potrebbe essere un Giovanni o Giovanni Andrea da Gera e potrebbe trattarsi anche di due fratelli. Verrebbe altresì fuori il nome del committente, un Baldassare della Cascina di Cremeno.

Le indagini su questa particolare composizione in sei riquadri continuano, per l’interesse che essa suscita. Ci rimane la curiosità di sapere come un’opera, diciamo pure così prestigiosa, sia stata donata a una chiesa tanto fuori mano di un nucleo abitato tanto modesto: o che di debba ripetere per Dorio quel che il Profeta diceva di Betlemme: «Nequaquam minima es…»?

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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