Adesso è difficile giudicare se i poveri montanari del Resegone nel secolo XVII proprio si meritassero le rampogne del cardinale (vedi scheda storica); ma certamente non si può comprendere Federico Borromeo quando maltratta il paesaggio, se non pensando al maltempo e agli altri accidenti capitatigli nel lungo cammino fra i monti che gliel’hanno fatto vedere nero.

Senza dire delle visioni sempre più ampie e affascinanti che s’aprono davanti agli occhi, sopra il bacino di Lecco, la Brianza, la valle dell’Adda, salendo per la serpentina di tornanti che porta in quota partendo da Ballabio, e della selvaggia bellezza dei passaggi sui clivi del Due Mani e verso la Forcella d’Olino, incanta la solitaria vaghezza di Boazzo, la stretta valle percorsa dal torrente Caldone, uno dei tre «manzoniani», ed è spettacolo grandioso la conca per la quale sono sparsi i molti nuclei e i cascinali che fra prati e boschi formano Morterone, sotto il diadema dei cocuzzoli famosi del Resegone.

Già Cesare Cantù, nella Grande illustrazione del Lombardo Veneto, notava che qui si offrono «deserti alle caccie, e a chi dalle atroci ridicolaggini della città abbia contratto il bisogno di pensieri, solitudine, decenza, libertà». Il «deserto», forse, è un po’ eccessivo, ma il desiderio di silenzio e di pace non deve mancare fra la gente di città, che potrà soddisfarlo qui, fra la Costa di Boldes e la costiera di Muschiada.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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