La strada provinciale, che da tempi antichi correva da Primaluna a Cortabbio a Bindo e Taceno, era toccata principalmente dall’’insidia del Pioverna il «fiume della Pieve». Essa si teneva piuttosto a monte, ma nel Settecento si era già portata per gran parte sulla riva del fiume. Fra il 1845 e il 1859 i comuni la allargarono a Introbio, Cortenova, Bindo e Taceno. Dopo il 1867 e l’inondazione di Introbio, venne restaurata fino a Cortabbio riportando spesso a monte il tracciato; poi, occupando anche il letto del fiume, si proseguì tra Cortenova e Taceno e dopo il 1877 fino al ponte di Premana. Ma solo nel 1887 la strada fu tutta carreggiabile da Lecco a Premana, nell’anno stesso in cui la Valsassina chiedeva invano che la ferrovia Lecco-Colico la attraversasse.
L’ingresso alla Valsassina dal settentrione era il viottolo risalente da Bellano e sbarrato dal forte del Portone: lo forzarono i Lanzichenecchi nel 1629 e i Francesi nel 1636, con la conseguente invasione dei paesi vicini, come ovviamente Cortenova. L’idea di una vera strada tra Taceno e Bellano era venuta al conte di Fuentes nel 1606, per avvicinare il nuovo forte di Pian di Spagna con Lecco e Milano. Ma la strada, prettamente militare, venne ostacolata dai valsassinesi, per il terrore di invasioni, come fu ostacolata l’altra progettata dagli Austriaci per il Tirolo e aperta poi lungo la riva del lago. La lunga vicissitudine del tronco Taceno-Bellano, iniziato nel 1903 e finito per le elezioni del 1912, conferma l’allergia alle buone strade.
Se tutta buche e corsa da banditi era la provinciale, per le altre strade ci si accontentava. Il greto del Pioverna era usuale passaggio al percorso Cortabbio-Prato e Piano-Bindo. Ripide e selvagge anche le mulattiere per Parlasco e per Esino, attraverso il Cainallo: esse erano però il miglior collegamento di questi paesi con il resto della Valsassina e con Lecco, e perciò rendeva per tal verso importante Cortenova. E con quei di Esino i rapporti erano intensi e forse più di denaro che di pascolo, come si capisce dalla cinquecentesca leggenda del caldaro di gnocchi.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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