Il Pioverna, il «fiume della Pieve» secondo l’etimo, scorre nel territorio di Cortenova con ampie anse e ampio letto. È possibile sulle mappe rilevare la mutevolezza di questo «vagante fiume», secondo l’espressione del geologo Pini nel 1794.
Gravi rovine vennero prodotto nel 1762 dal fiume e dai suoi affluenti, compresa la caduta del monte Piona; anche Bindo fu minacciato, mentre Gero e Barcone vennero quasi del tutto seppelliti da smottamenti seguiti a incessanti piogge. Vi fu chi diede colpa anche all’eccessivo sfruttamento dei boschi per i forni del ferro. Per di più le selve distese verso Parlasco e i campi e i boschi dove era concorso di caccia alla fine del XVI secolo, tra Cortenova e Bindo e a Prato, erano stati erosi da fiumicelle e dall’impianto di officine, presso il Pioverna. Le inondazioni erano normali nella seconda metà del XVIII secolo, come anche prima, se furono tra le ragioni della divisione della parrocchia di Taceno nel 1490. Solo intorno al 1790 i Fondra e i Combi incanalarono il fiume e posero piantagioni sulle rive per un quarto di miglio, onde proteggere il forno del ponte.
Ciononostante il Pioverna insidiava sempre gli abitati e quarant’anni dopo si portava via un terzo delle case di Cortabbio, ampliando le Gere per le quali a guado si passava a Prato San Pietro. Sicché nel 1840 l’ing. Arrigoni stese un progetto di sistemazione dell’alveo dal ponte di Pasturo a Taceno, non eseguito.
Il fiume, che dava belle trote, nella cui pesca si dicevano abilissimi i corte novesi nel 1775, nn era l’unica insidia del paese, posto appunto su un terrazzo rialzato. Il terreno era infatti molto ricco di acque, coi fenomeni carsici dei Crottoni e numerose polle nei piani. Fenomeno ricordato dal Cattaneo nel Cinquecento, il quale non si esime dal ricordare e l’Acquabona e i rivi che muovevano officine.
La ricchezza di acque serviva ad ottimi prati, ma non alla coltivazione dei cereali; buona frutta invece davano i pianori ed anche i ronchi (il Pomer, la Ciresa, il Pra della Poma, i Roncaioli) e tra essa le noci (158 piante si contavano nel 1722) e le castagne.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it
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