A Premana, capitale delle forbici e dei coltelli, si ripete un’antica tradizione legata ai tempi ormai trascorsi degli alpeggi. Tutte le famiglie si ritrovano alle baite per un incontro che ha profonde radici nella vita della comunità: è il rito del «past», Indissolubilmente legato alla tradizione dell’alpeggio.

Anticamente un convito al quale partecipavano tutti gli alpigiani di un determinato alpeggio. Era il momento che concludeva, di fatto, il periodo della monticazione. Aveva una funzione di compensazione: ravvivava la cordialità nell’ambito del gruppo e appianava le controversie che inevitabilmente sorgevano quando si lavorava spesso in condizioni estreme, e non solo logisticamente.

Si incominciava col macellare una o due pecore, la carne veniva divisa in tante parti e con essa si preparava un saporito brodo che permetteva di cucinare il risotto usando i pentoloni abitualmente utilizzati per la lavorazione del latte. Ogni famiglia prenotava e riceveva la sua «part» dietro un modestissimo compenso. Dopo il pranzo, la sagra continuava con canti comunitari che vedevano intervenire tutti i partecipanti e che potevano aver termine solo alle ore piccole della notte. E la tradizione rimane ancora oggi, sia pure sotto forme diverse. Gli alpeggi non sono più monticati con il bestiame. Non c’è quindi la necessità di suggellare la conclusione della stagione quanto di cementare una amicizia tra la «compagnia» in cui è organizzato ogni alpeggio. Cambiata la filosofia, cambiato anche lo scopo. Oggi il past serve a sostenere un’opera comunitaria o un’iniziativa di aggregazione: l’asilo, la casa degli anziani, il coro, la banda, l’associazione sportiva… Non è quindi riservato ai soli soci della compagnia dell’alpeggio, come avveniva in passato quando tra il past dell’una e dell’altra compagnia si gareggiava in allegria così come durante i mesi dell’alpeggio ogni compagnia aveva cercato di migliorare e far più bella la propria alpe, ma aperto a tutti.

Ognuno ha il suo compito, che svolge metodicamente, con cura e con orgoglio. C’è chi prepara l’incastellatura sulla quale vengono appese le grandi caldere che una volta servivano per la cottura del latte ma che oggi servono per preparare prima il brodo e poi il risotto. C’è chi si preoccupa del trasporto del vino, del riso e di tutte le altre derrate occorrenti. C’è chi raccoglie e predispone la legna necessaria per il fuoco. C’è chi prepara le frattaglie per il soffritto. C’è infine il capocuoco, che segue con trepidazione ogni fase attorno a quegli enormi pentoloni: guai a deludere la golosità degli alpigiani.

Quella del past una volta era un’alba gioiosa perché significava il ritorno a casa dopo mesi di lontananza, oggi è motivo di folclore e, come tale, è diventato una festa che raccoglie tutti, paesani e forestieri. Immutato è invece lo schema: il menù, la cui preparazione è rigorosamente maschile e avviene sotto gli occhi di torme vocianti di ragazzini, consiste ancora nel tradizionale risotto, con il brodo ottenuto dalla carne di manzo. La part, una dose più che sufficiente per cinque-sei persone, va prenotata. È una progressione stuzzicante per il palato: prima il profumo della carne cotta, poi quello della frittura, poi ancora quello del soffritto e infine del risotto vengono a stuzzicare le narici. Si prepara anche la fila per la distribuzione del vitto. I rappresentanti delle famiglie arrivano con secchi, scodelle e recipienti d’ogni genere. Una volta cotti, risotto, carne e frittura vengono distribuiti a ogni famiglia, e consumati con gli ospiti, accompagnati con verdure e sottaceti e innaffiati da abbondante vino, tenuto in fresco sotto l’acqua corrente della fontana o del torrente che scorre vicino all’alpeggio. Gli intervenuti, soprattutto quando di mezzo c’è il sostegno a qualche opera importante, sono nell’ordine di parecchie centinaia, a volte anche sopra le mille persone. Lo scopo della festa fa perdonare qualche manchevolezza nella parte gastronomica… ma, si sa, quando c’è l’appetito tutto è buono. E poi qui nessuno ha dimenticato che fino a pochi decenni fa il past era l’unica occasione, durante l’anno, per mangiare un po’ di carne che, assieme al riso, appariva davvero come tanto ben di Dio.

Come il risotto e il bollito, anche i canti sono sempre il pezzo forte della giornata. Spesso si inizia nel primo pomeriggio e si continua per ore e ore, smettendo soltanto a tarda notte. Il repertorio di questa sagra del canto è ricchissimo: ci sono i canti tipici premanesi, i «tiir», cui si aggiungono canti di tutti i generi, giunti a Premana chissà per quali strade. Il vino, più abbondante che nel passato, crea rapidamente e poi mantiene alto un clima di euforia e rafforza un appuntamento che sa ancora di tradizione e di originalità.

 

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale