La sponda lecchese del Lario non possiede l’abbondanza di pregevoli testimonianze di antica architettura sacra che è offerta dalla sponda occidentale; qualcosa tuttavia si può trovare, non privo d’interesse.

«La gentil Varena» – così la chiama Bettino da Trezzo nella sua «Letilogia» – incontaminato borgo che richiama i tempi in cui (si era nel 1169) vi furono esiliati gli abitatori dell’Isola Comacina sconfitti dai Comaschi, mostra la chiesa principale dedicata a San Giorgio «notevole edificio di antiche origini – annotava Dante Stefanoni in una ricerca universitaria sull’architettura medioevale minore – ma completamente rimodernato con profusione, oserei dire esagerata, di ornamenti di marmo nero e lumachello. Di antico rimangono la chiara struttura a tre navi, caratteristica delle basiliche lombarde trecentesche, accusata anche sulla fronte, e le colonne murate nei pilastri». Ammette tuttavia Vittorio Adami, in «Varenna e Monte di Varenna», che la data di fondazione della chiesa di San Giorgio continua a rimanere un’incognita, nonostante Cesare Cantù nell’«Illustrazione del Lombardo-Veneto» asserisca che già nel 1288 era collegiata e plebana di sette chiese e nove altari, sottoposta alla diocesi di Milano (vi si officia però tuttora il rito romano, residuo del rito aquileiense o patriarchino portatovi dagli esuli dell’Isola Comacina), e si conosca un documento del 1313 dal quale si apprende di una supplica del console e degli uomini di Varenna per la consacrazione della chiesa di San Giorgio.

La raccolta piazza principale di Varenna accoglie lungo il suo perimetro quattro chiese. Uno dei lati minori è dominato, dall’alto di una gradinata, dall’austera facciata lapidea della prepositurale di San Giorgio ornata da un gigantesco San Cristoforo con il mantello foderato di pelli d’ermellino. Imponenti lavori di restauro, documentati in saggi di Angiola Maria Romanici nei fascicoli 138 e 139 della Rivista archeologica dell’antica provincia e diocesi di Como, hanno riportato alla luce il corpo medioevale di un sacro edificio a tre navata che degnamente si inserisce nel quadro, ricco di vitali fermenti, dell’arte lombarda due e trecentesca. Si rilevano, nel San Giorgio, e lo nota Oleg Zastrow in Affreschi romanici della provincia di Como, un primo impianto databile all’inizio del XIII secolo e una successiva ristrutturazione, particolarmente vistosa in alzato, che dovette essere compiuta nel primo scorcio del secolo successivo. Nella facciata appaiono i segni di tre momenti di costruzione.

Oltre a un’interessante struttura architettonica, la prepositurale varennate vanta notevoli opere d’arte. Sopra l’altar maggiore campeggia un polittico di dieci tavole, del 1467, firmato da Giovan Pietro de Brentanis; vi figurano, nel centro, la Vergine con Bambino, San Giorgio e San Pietro Martire. Fu dipinto per una Confraternita, e in origine si trovava in Santa Marta. Tavole di un altro polittico ascrivibile al Brentani sono assemblate sulla parete sinistra mentre nella cappella di sinistra è conservato un polittico con quattro Sante e gli Apostoli con Cristo sulla predella. È di sasso colorato una Deposizione dalla Croce, preziosa e armoniosa scultura della fine del Quattrocento, collocata sopra la porta della sagrestia della navata destra. Tra gli antichi affreschi – d’epoca romanica secondo lo Zastrow – conservatisi nella medesima chiesa abbiamo la regina Teodolinda e San Gregorio Magno che guardano i fedeli dalle due colonne cilindriche davanti all’altar maggiore. Staccati e ricollocati sulla parete di destra San Benedetto e un Santo vescovo, altri Santi tra cui San Bernardo e Sant’Orsola con le Vergini e i busti di Profeti. Particolarmente interessanti anche gli altari, in particolare quello in marmi policromi ultimato nel 1777 della cappella della Madonna del Rosario con una statua lignea della Vergine donata nel 1680.

Scandito da una compartimentazione fortemente gerarchizzata, il polittico rappresenta nello spazio centrale la Vergine in trono col Bambino affiancata, nei due scomparti laterali, da San Pietro Martire e San Giorgio. La sezione centrale è serrata da due pilastrini con quattro figure di santi (San Lorenzo, San Giovanni Battista, Santo Stefano e Santa Agnese) e coronata da tre cuspidi con l’Arcangelo Gabriele, la Crocifissione e la Vergine annunciata. Malgrado piccole integrazioni e qualche ritocco alla carpenteria, il polittico costituisce uno dei non numerosi esempi di pala d’altare lombarda completa di ogni elemento; anche il margine inferiore, privo di predella, non ha subito alterazioni sostanziali, come dimostra la scritta originaria che vi scorre in cui sono dichiarati l’anno di esecuzione (1457), l’identità dei committenti e quella del pittore (“MCCCL / VII SCOLARES PETRI M(artir)IS FECE / RUNT FIERI HOC OPUS M(agiste)R PETRUS D / E BRENTANIS PINSIT DE M / ENSE APRILIS”).

Nella sua slanciata e instabile articolazione e nell’enfasi attribuita alle tre targhe dei pinnacoli, il polittico costituisce un ibrido compromesso tra tipologie diffuse in area ligure lombarda e soluzioni adottate nei territorio veneziani. Anche dal punto di vista dello stile, l’opera presenta una curiosa miscela di elementi affine, sebbene a un livello più modesto, a quella di Paolo da Caylina il Vecchio; il polittico di Varenna condivide con l’opera del pittore bresciano (polittico della Madonna col Bambino e quattro Santi, 1458, Torino, Galleria Sabauda; già in Sant’Albino a Mortara) le tipologie delle figure dei santi e “il formulario di certi ornati” che sembrano derivare da Antonio Vivarini. Si noterà tuttavia che alcune soluzioni, come il profilo geometrico dei volti della Vergine, del Bambino e di San Giorgio, sembrano costituire una maldestra traduzione di modelli di origine senese e richiamano esperienze operate sulla costa tirrenica, sul tipo di quelle di Cosimo Re (Madonna col Bambino e Sant’Anna, Genova, Galleria di Palazzo Bianco) e di Francesco da Verzate (Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista e Pietro, Baiardo, chiesa parrocchiale).

Giudicato severamente da Francesco Malaguzzi Valeri (“di disegno scorretto, di esecuzione povera, che cerca di nascondersi nel lusso delle vesti”) e letto come risultato di un incontro vernacolare tra il mondo di Benedetto Bembo e quello di Yvo Strigel, il retablo di Varenna è all’origine della riesumazione del breve catalogo del Brentani: esso include il polittico con la Madonna col Bambino e quattro Santi oggi alla Fondazione Bagatti Valsecchi di Milano, dove almeno tre elementi (San Pietro Martire, l’Arcangelo Gabriele, la Vergine annunciata) sono desunti dai medesimi cartoni utilizzati nell’opera di Varenna. Alcuni studiosi (Malaguzzi Valeri, Binaghi Olivari, Rovetta) associano inoltre a questo nucleo un terzo numero anch’esso conservato in San Giorgio a Varenna in cui affiora tuttavia una propensione assai più marcata per la pittura ligure della seconda metà del Quattrocento.

L’unica menzione del pittore Pietro Brentani compare in calce a questo polittico nella chiesa parrocchiale di Varenna, datato 1467. Un’errata lettura della firma aveva fatto credere in passato che l’artista fosse originario della stessa località lariana. Il riesame del dipinto in tempi recenti (Binaghi Olivari, in Zenale e Leonardo, 1982) ha fatto giustizia di questa leggenda e ha consentito di rintracciare le radici culturali del Brentani lungo i confini orientali della Lombardia, come suggeriscono più punti di contatto con la prima fase di attività del bresciano Paolo da Caylina il Vecchio.

Di vario formato, ma tutte di dimensioni ridotte rispetto a quelle d’origine, le tavole maggiori di questo complesso riproducono la Madonna col Bambino e due angeli musicanti, San Giovanni Battista, Sant’Eustachio, Santo Stefano, San Nicola da Bari, Sant’Ambrogio, San Giorgio, San Gerolamo, San Lorenzo; quelle di formato più piccolo San Bernardo e Santa Caterina, Sant’Agnese e Sant’Apollonia; altri due elementi (Sant’Antonio Abate, Santa monaca) che come queste ultime dovevano far parte dei pilastrini laterali della cornice, sono stati rubati nel 1976. Non è nota la provenienza antica, e incerta è la loro identificazione con “alcuni quadretti dell’età giottesca, notevoli anche per le cornici” che Cesare Cantù (1859) vide “nel contiguo oratorio”; riaffiorarono all’inizio del Novecento nell’attuale stato frammentario (Santo Monti, 1902, menziona solo tre di esse) forse dovuto a un progetto, poi rientrato, di vendita al dettaglio dei vari elementi dell’altare.

Lo stato attuale non consente un’attendibile ricostruzione dell’insieme, che doveva comunque includere una ricca serie di scomparti e avere uno sviluppo verticale piuttosto accentuato, come suggerisce l’elevato numero delle figurine che in origine ornavano i pilastri laterali. L’assenza di una cornice e la drastica riduzione di formato subita dalle tavole contribuiscono a isolare sui fondi dorati il profilo delle figure e a valorizzare il ricco corredo decorativo, dal motivo a losanghe inciso a punzone agli elementi in rilievo eseguiti a pastiglia (aureole, accessori vestimentari, attributi dei santi). Un tale repertorio è inconsueto in Lombardia, mentre ricorre nelle opere eseguite in Liguria durante tutto il XV secolo. Quest’apertura geografica sembra confermata dai dati dello stile che rivelano, al di là di una generica radice foppesca (avvertibile soprattutto nell’invenzione della Vergine in trono), indiscutibili affinità con alcuni prodotti eseguiti nell’arco occidentale della costa ligure, dalla Madonna col Bambino di Tommaso Biazaci (1478) già in Santa Maria in Fontibus ad Albenga (Genova, Galleria di Palazzo Bianco) al più tardo polittico con la Vergine assunta e Santi oggi all’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Anche la sobrietà grafica con cui le figure si stagliano sul fondo dorato mostra, malgrado la titubante traduzione formale, una certa familiarità con le opere più antiche di Giovanni Mazone (si vede l’Arcangelo Raffaele e Tobiolo, Zurigo, Kunsthaus, parte di un polittico che includeva un pannello ora nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano e due scomparti già nella collezione Balbo Bertone a Torino). Qualora fossero confermati da ulteriori ricerche, questi rapporti con la costa mediterranea, allora in buona parte controllata politicamente dai milanesi, aprirebbero un capitolo di notevole interesse per la storia della pittura lombarda della seconda metà del Quattrocento. L’esecuzione del dipinto qui esaminato non deve infatti discostarsi di molto dall’ottavo decennio del secolo.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito della Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale