Vi era credenza che chi avesse condotto esistenza peccaminosa non potesse riposare in terra consacrata: la sua anima era condannata a vagare nei luoghi dove aveva commesso misfatti sino a che un sacerdote non l’avesse esorcizzata. Anche chi fosse riuscito a celare in vita i suoi delitti sarebbe così stato smascherato dopo morto.

Tra sci “scongiurati” di lassù il più celebre è Pré Isep, leggendario sacerdote e grande cacciatore del mio paese e, dicono, della mia stessa famiglia. Mille storie di ardimenti e di bravure si raccontavano di lui.

Una mattina, accennava la primavera e gli uomini erano quasi tutti a lavorare in foresteria, il Toni di Buroi andò al Pianchel per togliere dal mucchio le castagne tenute ancora nei ricci perché si conservassero; ebbe la sorpresa di scoprire che un ladruncolo se ne era ingoiata una buona quantità, lasciando attorno le bucce semivuote. La poca polpa rimasta attaccata, ancora fresca, denunciava che il furfante se ne era appena andato. Il Toni pensò a qualche animale e, già che nessuno più di Pré Isep conosceva le abitudini delle bestie, decise di chiamarlo e di sottoporgli il caso strano. Il sacerdote, quando udì il fatto, comprese subito che si trattava di un orso uscito dal letargo e si rallegrò per l’occasione che gli metteva davanti una preda tanto rara. Raccomandò al Toni di stare zitto, di non dire nulla a nessuno, perché se in paese fosse giunta la notizia tutti sarebbero accorsi e avrebbero battuto la montagna facendo fuggire l’animale. Poi, la sera, all’Ave Maria, caricato il fucile che era a canna grossa e con tanto di stilo in testa, appostò il Toni vicino all’abitato, presso la grande frana detta Lavinun, dalla quale si domina il versante del Pianchel, gli ordinò di attendere due spari: il primo sarebbe stato quello destinato all’orso, il secondo, fatto esplodere appena caricata l’arma un’altra volta, sarebbe stato il segnale del buon successo dell’impresa: dopo di che il Toni avrebbe potuto chiamare gente e venire a prendere la preda. Detto fatto, Pré Isep salì al Pianchel e si appostò su di un castagno che dominava la ricciaia.

Non era ancora buio quand’ecco uscire dal bosco un orso bruno, possente come altri mai se ne erano veduti. Pré Isep attese che fosse a tiro, puntò l’arma e sparò. L’animale, colpito malamente, con grandi urli di dolore rotolò giù per il vallone. Pré Isep scese dall’albero e lo inseguì; stava per raggiungerlo quando incespicò. La belva gli si avventò contro, ma lui la affrontò impavigo a colpi di stilo e l’ammazzò. Rialzatosi, il sangue dell’orso aveva bagnato la polvere che doveva servire all’altro sparo. Il Toni di Buroi dall’opposto versante della valle, udito il primo colpo e subito dopo gli urli della belva, preso da spavento, sicuro della morte di Pré Isep, se ne era fuggito chiudendosi in casa. Là lo trovò il sacerdote quando tornò in paese. Raccontano che per vari giorni la gente mangiò la carne dell’orso di Pré Isep.

Passarono gli anni e l’audacia di lui non conobbe più limiti. Batteva la montagna d’inverno e d’estate e sempre tornava con le più grosse prede; uccise un altro orso presso Mascedo, così grosso che quando lo appesero alla casa posta di fronte alla chiesa ne trassero ben ventidue pesi di carne che nutrì per molti giorni l’intera popolazione; un altro, feroce, che sterminava greggi di pecore e di capre, venne colpito a Guillo, presso la grotta del Santo Nicolao, e andò a morire nella Valle Grande dove trovarono la carogna alcuni mesi più tardi.

Dicono ancora che, alla fine, la grande passione condusse Pré Isep a trascurare i doveri di sacerdote, cosicché il demonio ebbe finalmente il potere di colpirlo.

Si trovava egli un giorno nell’alta Valle Molinera, sopra il bosco, là dove le rocce si levano più ardite; un camoscio, agile e forte, apparve d’improvviso su una croda: aveva corna d’argento che luccicavano al sole. Pré Isep prese a inseguirlo dentro le forre, su per le guglie, lungo le creste più aeree; lo inseguì senza posa sino sotto le immani pareti del Pizzo. Qui, il meraviglioso animale si addentrò nel vertiginoso camino che taglia lo strapiombo in verticale. Instancabile, Pré Isep si arrampicò dietro di lui: quasi lo aveva raggiunto quando quello lanciò un fischio acuto e dall’alto, suscitati da potenze infernali, si precipitarono branchi di camosci. Pré Isep ebbe appena il tempo di puntare lo stilo del fucile in una crepa della roccia e di aggrapparsi all’arma per reggere all’impeto degli animali. Allorché la furia si fu dileguata nei valloni della Valle Molinera, ritirò il fucile, ma tanto si era conficcato lo stilo nella roccia, che dovette spezzarlo. In preda al terrore Pré Isep tornò in paese, ma lo spavento gli aveva tolto la parola. Intristì e morì in breve volgere di tempo. Narrano che la sua anima fu “scongiurata” e che ancora vaga dove incontrò la terribile avventura.

Quando ero giovane effettuai, con un compagno d’armi, una prima ascensione su per la celebre parete. Cercai lo stilo di Pré Isep ma non mi fu dato di trovarlo. Quanto al fucile, si trova ancora in casa mia. Questa leggenda, raccontata quando ero ragazzo, è oggi perduta e cara ancora solo alla mia famiglia. Ritengo che si riferisse al 1700, secolo in cui vi fu tra i miei un prete Giuseppe, al quale si può attribuire il fucile che conserviamo.

testo di PIETRO PENSA, da L’Adda, il nostro fiume, volume terzo, Religiosità, tradizioni e folclore nel ritmo delle stagioni
pubblicato a cura di ANGELO SALA sul sito www.valsassinacultura.it

 

Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale