Significative le parole, anche se forse un po’ enfatizzate (ma siamo negli anni venti), con le quali nel primo numero della Rivista di Lecco (settembre 1924) si descrive il ponte che andava a sostituire l’esile, eppure forte, ponte di corda (si trattava di una passerella costituita da due corde metalliche parallele che trattenevano alla base delle assicelle di legno su cui camminare e legate a due funi più alte fungenti da parapetto): «…ciò che pareva irrealizzabile è ora realtà e sull’abisso si curva agile ed elegante l’arco che sembra tracciato da una mano onnipotente con una facilità, con una leggerezza davvero fantastica. Di qua e di là la roccia regge le basi dell’arco; colonne altissime e leggere, che sembrano appoggiate all’aria si drizzano fino a raggiungere il piano stradale; alle colonnette di cemento si appoggia il parapetto della strada, al quale il viatore spaurito e meravigliato, estatico, si affaccia per scrutare l’abisso sul quale cammina».

Progettato dall’ing. Danusso di Milano, costruito dall’impresa Terzi, era lungo 75 metri, alto 96 metri e largo 5 metri; è stato ulteriormente rinforzato nel 1984, allargando anche il piano così da avere una carreggiata di 6 metri, lasciando però intatte le sue originarie caratteristiche architettoniche e stilistiche.

Paride Cattaneo della Torre, parlando nel Cinquecento di Cremeno e del fiume Pioverna, scrive: «Sopra del quale vi è fabbricato un alto Ponte, che fa comune una ripa con l’altra». Che questo ponte sia il padre del ponte di corda, che i nostri vecchi ancora ricordano, e quindi il nonno dell’attuale ponte in cemento?

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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