Uno dei fenomeni geologici che resero celebre il nome del mio villaggio nativo, Esino, spinse su, nell’epoca triassica, uno sperone di monte che si collega con un sottile crinale al terrazzo morenico su cui giacevano i due abitati, superiore ed inferiore, ora uniti dal dilagare di case. Sorgeva un tempo sulla vetta di quel promontorio un castrum romano e poi longobardo, la cui torre trasmetteva i segnali a quella di Menaggio, visibile ad occidente sopra un triangolino di lago. Di probabile origine quale cappella castellana è la parrocchiale di San Vittore, sotto il cui altare maggiore si sono trovate fondamenta fortificatorie di quel castello.

Lungo il crinale si alternano ad abeti le cappelle della Via Crucis. Al principio del viale, dove giungono gli accessi dai due antichi villaggi, una chiesetta minore, presso la quale si tenevano un tempo le vicinanze congiunte delle due popolazioni, ora divenuta sacrario dei Caduti, era intitolata a San Nicolao. Mai riuscii a spiegarmi il perché della dedicazione a quel santo, ben noto quale protettore dei naviganti e la cui presenza quindi è ben giustificabile a Lecco, a Como, a Bellagio e a Colico, ma non in un paese di montagna. Forse la leggenda che esporrò, cara ai vecchi del mio paese, raccontata tante volte con molto amore a me ragazzo da Ambrogio Barindelli e da Giovanni Grassi, allora i più saggi di lassù, ne può essere una chiave.

Diceva il primo, dunque, che ai tempi dei tempi il colle della chiesa non esisteva e che la religione cristiana venne portata da un eremita, Santo Nicolao, che viveva in preghiera in una grotta presso Ortanella. Quella grotta, in cui noi bambini entravamo attraverso un pertugio basso basso, è assai piccola, adatta proprio ad un penitente, e porta sul piano inferiore due strane prominenze di roccia, di cui una, ci dicevano, serviva da capezzale all’anacoreta, l’altra, con un incavo, da acquasantiera. Quando, convertiti, gli abitanti decisero di costruire una chiesa, nacque contrasto tra giovani e vecchi: i primi volevano erigerla addirittura in cima a una montagna, gli altri, più ragionati, là dove è ora il sacrario di cui ho scritto. L’eremita Nicolao intervenne nella disputa e promise che avrebbe pregato Iddio perché mandasse una giusta ispirazione. Fatto si è che accadde un gran miracolo. Era un’alba di primavera e alle prime luci gli uomini stavano recandosi ai lavori sui monti, quando il cielo, sereno e chiaro, si oscurò ad occidente: stormi di rondini a non finire giungevano e ogni uccello portava nel becco un sassolino. Le pietruzze vennero lasciate cadere a mezza valle e sorse così il promontorio su cui subito venne costruita la chiesa.

Il secondo vecchio che ho ricordato ascoltava il primo narrare, rifletteva un poco, poi diceva: «L’ho sempre sentita così, anch’io, ma mio padre diceva che le cose erano andate diversamente: il “castello” c’era sempre stato; la gente voleva costruire la chiesa dove ora è quella di San Nicolao, vi portò sabbia e calce, ma al mattino trovava che le rondini avevano spostato il materiale al castello, e così San Vittore è stato costruito lassù».
testo di PIETRO PENSA, da L’Adda, il nostro fiume, volume terzo, Religiosità, tradizioni e folclore nel ritmo delle stagioni
pubblicato a cura di ANGELO SALA sul sito www.valsassinacultura.it

 

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