Del fatto accaduto a Lezzeno il 6 d’agosto del 1688 è stato scritto molto nel tempo; proprio nell’occasione tricentenaria Eugenio Cazzani, con la capacità del ricercatore di lunga esperienza, ha raccolto e rielaborato tutta la documentazione storica riguardante il Santuario offrendo ormai, a studiosi e devoti, la più completa esposizione di notizie sulla genesi e la lunga vita del centro mariano sul Lario. La singolarità di quest’opera, «Lezzeno e il suo Santuario» è il titolo, che ha visto la luce poco prima della morte dell’autore, sta nel fatto che a volerla è stato don Carlo Mezzera, bellanese, prevosto in San Gabriele Arcangelo di Milano, discendente di quel Bartolomeo Mezzera che per primo ebbe la visione miracolosa, trecent’anni fa, per ricordare il suo cinquantesimo di sacerdozio e la sua prima messa celebrata proprio all’altare del Santuario di Lezzeno.

Riassumiamo i noti avvenimenti. Al tramonto di quel 6 d’agosto, allo scoppiare d’un furioso temporale estivo, Bartolomeo Mezzera, costretto ad abbandonare il lavoro in un suo campo nella località Valle di Lezzeno, s’accostò a una cappelletta che aveva fatto costruire al margine del bosco e nella quale aveva collocato un modesto medaglione in gesso con impressa l’immagine della Regina della Pace venerata nel Santuario di Nobiallo, dall’altra parte del lago. Doveva aver comprato quel dozzinale medaglione – i pellegrini dunque trovavano anche allora devoti «ricordi» dei santuari – in occasione di una pia visita alla Vergine di Nobiallo; così, ogni volta che passava vicino alla «sua» Madonnina il buon contadino recitava l’Ave Maria. Ma quel pomeriggio agostano, fuggito sgomento alla tempesta che minacciava di rovina i bei vigneti faticosamente coltivati sui terrazzamenti del monte, forse con nel cuore qualche funesto presagio alimentato dalle memorie, tramandate dai racconti dei vecchi, di un’alluvione che molto tempo prima, s’era nel 1341, aveva distrutto addirittura la chiesa di Bellano, Bartolomeo Mezzera, levando lo sguardo implorante verso l’effigie sacra, trovò una ragione di ancor più grande turbamento. Quella povera Madonnina di gesso, infatti, lacrimava sangue, e il liquido rosso scendeva lungo il viso. «Signor Dio, misericordia, poveretti noi», sarà sentito esclamare il Mezzera mentre si precipitava verso casa per raccontare alla moglie lo straordinario fenomeno visto.

La voce corre in un baleno tra le case della frazione Lezzeno, e la gente sale in gran numero sotto la pioggia alla cappelletta a constatare il fatto riferito. Si avverte subito il prevosto di Bellano, Paolo Antonio Rubini, «che era ad esorcizzar il tempo sopra la porta della Prepositurale», come annoterà diligentemente il notaio Polidoro Boldoni. Accorre anche il prevosto, vede a sua volta la lacrimazione di sangue, s’inginocchia in preghiera, torna l’indomani con il notaio per meglio accertare, e su tutto manda relazione all’arcivescovo Federico Visconti in Milano. Una commissione arcivescovile prima che finisca l’anno è a Bellano, controlla, interroga i testimoni, fa eseguire perizie. L’inchiesta sfocia nel riconoscimento del miracolo: ma il popolo del contorno e d’altre terre più lontane, specialmente Valtellina e Valchiavenna, non aveva atteso il verdetto ufficiale per ascendere a venerare, a invocare e ottener grazie, a lasciare offerte. Lo stesso arcivescovo invierà un ingegnere a dar consigli per la costruzione d’una chiesa, alla quale s’era subito pensato, in ricordo dell’evento; il prevosto Rubini benedirà la prima pietra già il 6 agosto 1690, a soli due anni dal prodigio; e quattro anni dopo dall’arcivescovo Federico Caccia sarà concessa la celebrazione della messa, segno che i lavori erano a buon punto. Nel 1706, il 14 di maggio, il tondo di gesso con l’immagine della Madonna delle lacrime sarà solennemente trasferito nel Santuario, dove tuttora si conserva entro una nicchia fra angeli dorati sopra l’altar maggiore.

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

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