La fitta rete dei percorsi del minerale e dei «fraini» (come da queste parti venivano chiamati i cavatori di minerali ferrosi) costituisce il tracciato che consente oggi agli escursionisti di effettuare in quota l’intero anello della Val Biandino.

Ideale punto di partenza è il Pian delle Betulle, in alta Valsassina, dove il tracciato, attraverso gli alpeggi di Ortighera, Oro e Dolcigo, giunge alla bocchetta d’Ombrega entrando in Val Biandino. L’itinerario è fatto di saliscendi, a quote variabili tra i 1700 e i 2000 metri, caratterizzato, sulla sinistra, dai grandi lariceti della Val Marcia e, sulla destra, dagli ampi pascoli degli alpeggi che, in gran parte ancora vivi nella stagione estiva, costituiscono, con i loro edifici e il loro lavoro, una realtà etnografica viva, carica dei gesti, dei simboli e dei segni tangibili del passato nei quali sono riconoscibili i tratti dell’identità sociale e culturale di queste terre. Lassù fra quelle antiche pietre si trova il mondo dell’alpeggio con le sue particolari e originali tipologie abitative e strutture architettoniche, la fontana, il forno del pane, la casera per la produzione del formaggio, i canali intagliati nella roccia e nelle fiancate prative, vere opere di ingegneria idraulica alpina.

Dalla bocchetta di Ombega, sempre per saliscendi prativi, lungo la cosiddetta sponda di Biandino, si arriva al passo della Cazza che collega la Val Biandino alla Val Varrone. Qui sono più evidenti le tracce della millenaria attività estrattiva: qualche muro a secco, l’ingresso di qualche galleria, il Rifugio Santa Rita che sorge là dove esistevano le baracche dei minatori, ricordano, con immediatezza, gli abbandoni e gli isolamenti invernali ai quali i «fraini» erano costretti. È qui che il significato del tracciato va al di là della pura e semplice ammirazione di un paesaggio, peraltro molto bello, con accentuate caratteristiche alpine, spaziando in direzione delle Grigne, verso le Alpi occidentali con il Monte Rosa e nella direzione del Legnone e del Pizzo Alto sulle Alpi centrali con il Pizzo Badile, il Bernina e il Disgrazia. La flora, gli stambecchi, i camosci, i caprioli e le marmotte consentono anche appaganti safari fotografici.

Dal Rifugio Santa Rita un sentiero in quota contorna tutta la testata della conca di Biandino. Qui l’ambiente cambia. Non più i prati e i lariceti del primo tratto ma sfasciumi rocciosi piuttosto aspri. Il paesaggio è però addolcito, giù in basso, dal lago di Sasso e, più lontano, dal paesaggio agreste di Biandino. Una deviazione per la cresta di Piazzocco, sotto la quale è lo specchio argenteo del Lago d’Inferno, consente di salire alla vetta del Pizzo dei Tre Signori. Guadagnata la cresta di Castel Reino dov’era un’antica torre di osservazione, che separa la Val Biandino dalla Valtorta, si raggiunge il Rifugio Grassi, al cospetto delle Prealpi bergamasche. Anche qui, per secoli, vennero sfruttati giacimenti di piombo e di argento. L’anello termina al passo di Camisolo da dove, passando dal Rifugio Pio X, si ridiscende nella conca di Biandino. Qui è ancora attiva la produzione casearia con formaggi grassi tipo Bitto, formaggi semigrassi, burro e caprini, acquistabili direttamente sul posto nella stagione estiva.

Lo sapevano bene anche i frati del convento di Pescarenico, di manzoniana memoria, che per la festa della Madonna della Neve, il 5 di agosto, mandavano sul posto un predicatore «a far’un poco di discorso della Madonna» ottenendo in cambio una buona quantità di «butiro, stracchini e mascherponi». L’appuntameno del 5 agosto era codificato negli Statuti della Valsassina del 1674 dove si stabiliva che «non vi sia persona alcuna di detta Valle e Monti la quale in modo alcuno ardisca, ovvero presuma, lavorare né far alcun lavorerio nell’infrascritta festa».

In uno scritto di quasi due secoli più tardi leggiamo che nel paese di Introbio «si costuma che tutte le giovani spose si rechino dalla Madonna, su a Biandino, a ricevere la benedizione poco prima di celebrar le nozze». E alla Madonna di Biandino si rivolse il popolo introbiese, nel 1836, quando in Valsassina fece la sua apparizione il colera. Ra ancora vivo il ricordo della micidiale epidemia di tifo che, nel 1817, aveva provocato la morte di un terzo degli abitanti. Gli introbiesi salirono processionalmente a Biandino ad invocare la protezione della Madonna della Neve, facendo voto di ripetere ogni anno la processione se la Vergine avesse esaudito le loro preghiere. Il paese di Introbio fu preservato dal colera. Ci fu un solo ammalato ma nessun morto. Gli introbiesi hanno tenuto fede al voto. Ogni anno tornano processionalmente in Biandino, partendo alle 5 del mattino dal paese e affrontando diverse ore di aspro cammino. Assistono alla celebrazione della messa all’aperto, rendono omaggio alla Vergine, si rifocillano sui prati, quindi ricevono la benedizione, ricompongono la processione e fanno ritorno in paese dove il rito si conclude con il Te Deum e un commovente canto di arrivederci. Al prossimo 5 agosto.

Da quella data, nel 1836, come ricorda lo storico valsassinese Giulio Selva, «la Beata Vergine della Neve divenne la Madonna di Biandino, un titolo che nessun calendario riporta ma che è stampato da generazioni nel cuore della nostra gente. Il voto degli avi è tuttora puntualmente rispettato e anche se al Santuario non si sale più a piedi scalzi, per gli introbiesi ol dì de la Madona (il giorno della Madonna) è il 5 agosto».

testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

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