Severino e Bruno sono due buoni alpinisti che già da qualche tempo fanno da capicordata alle uscite domenicali. Nel 1931, durante un campo estivo salgono in cima al Cervino. Probabilmente vogliono prepararsi all’impresa che stanno sognando: la prima invernale della via di Eugenio Fasana e Vitale Bramani al Pizzo della Pieve.
Il 27 dicembre è il gran giorno e i due alpinisti del GAM escono di buonora dal rifugio per andare all’attacco.
Alle prime luci del 28 dicembre attaccano la prima rampa. Il tempo continua ad essere buono, ma il gelo ha ricoperto di vetrato le rocce del camino di sessanta metri e, a rendere le cose più difficili, c’è un accumulo di neve che complica l’accesso al camino.
29 dicembre: il tempo comincia a cambiare. La temperatura sale e il cielo si chiude in un grigio sipario uniforme. Cattaneo e Veronelli sono provati per i due bivacchi e per la fatica della salita, ma ormai la parte più difficile è alle spalle.
Forse uno dei due alpinisti decide, mentre è in sosta, di scattare una foto; pianta la piccozza e per una distrazione, per una piccola valanga che lo investe o per altro motivo che non si potrà mai conoscere, scivola e trascina l’altro per le lisce placche ghiacciate sotto il traverso. Una volta che hanno preso velocità è ormai impossibile fermarsi. Quando un corpo sembra quasi sul punto di arrestarsi, la corda che lo lega al compagno lo strappa verso il basso. Precipitano urtando più volte sulle rocce che affiorano dalla neve. All’improvviso la corda che li unisce si avvolge ad uno spuntone roccioso che ne blocca violentemente la caduta.
Il volo è stato terribile.
Non ci è dato di sapere se ad allertare le squadre di soccorso sia stato un contadino che, trovandosi alle baite di Nava, abbia sentito le grida di aiuto o il custode del rifugio Pialeral che aveva raggiunto la base della parete per vedere come se la stavano cavando i ragazzi che aveva ospitato. Comunque siano andate le cose i soccorsi intervengono rapidamente.
Tutti i racconti concordano nel segnalare che i primi tentativi di soccorso cominciano già il mattino del 30 dicembre. E’ un’azione corale e frenetica sostenuta dalla speranza che si possano ancora salvare i due alpinisti caduti. Arrivano i fratelli di Severino e di Bruno. Partecipano al soccorso anche i contadini di Nava di Baiedo, ma sono soprattutto tre alpinisti di punta del gruppo “Giuseppe Cazzaniga” della SEL (Società Escursionistica Lecchese) ad assumersi la parte più rischiosa: Giovanni Gandin, Renzo Galbiati e Pierino Vitali.
La situazione è tragica ma c’è ancora qualche speranza di trovare almeno uno dei due ancora in vita.
31 dicembre 1931. Siamo arrivati all’ultimo giorno dell’anno, ma ai piedi del Pizzo della Pieve non c’è tempo per brindare. Le condizioni del tempo sono proibitive, nevica fitto e la temperatura è scesa ancora. Gandin e i suoi compagni tentano di nuovo di raggiungere Cattaneo e Veronelli. Con tecnica e coraggio Gandin riesce ad innalzarsi fino al camino, tuttavia è impossibile proseguire perchè il verglass ha ricoperto gli appigli e i tre devono rinunciare e scendere, lasciando però tutte le corde in loro possesso saldamente fissate alla parete, espediente che nei giorni successivi si rivelerà utilissimo.
1 gennaio 1932. Ormai da tempo dalla parete non giungono più segnali di vita, ma si tenta ancora di portare soccorso ai due alpinisti caduti. Gli abitanti di Pasturo e di Primaluna cercano di collaborare in ogni modo. È un evento che ormai coinvolge tutti e si appresta ad entrare nella memoria collettiva della Valsassina.
Il tempo peggiora ancora e alle 14,00 viene dato l’ordine di scendere. Il gruppo raggiunge Pasturo alle 17,30 e alle 19,00 tutti ripartono per Lecco.
Ormai è chiaro a tutti che si tratta solo di recuperare i corpi senza vita.
Gli amici del GAM di Milano però non si arrendono. Durante l’estate hanno conosciuto due forti guide della Valtournanche: sono i fratelli Amato ed Alberto Bich, abituati a muoversi e a fare soccorsi sulle pareti ghiacciate del Cervino e capaci di utilizzare tecniche che i soccorritori locali non padroneggiano ancora così bene. Le due guide valdostane accettano.
Il 4 gennaio il tempo è buono e le condizioni della parete consentono ai fratelli Bich e a Giovanni Gandin di salire velocemente. Con loro salgono tre alpinisti del GAM, Salomon, Gigni e Giussani. Le corde fisse lasciate da Gandin si rivelano utilissime per la prima parte della salita. Dopo molta fatica e molti rischi raggiungono gli alpinisti morti.
È ormai sera quando riescono a calare alla base della parete i corpi di Cattaneo e Veronelli.
Di certo si può dire che il coraggio, l’altruismo e l’abilità tecnica di Giovanni Gandin hanno impressionato le due guide valdostane Alberto ed Amato Bich che, in una lettera indirizzata alla sede Centrale del CAI, propongono di concedere a Gandin l’attestato di Guida Alpina.
Il 28 ottobre 1933 il Podestà di Lecco consegna a Giovanni Gandin la medaglia di bronzo al valor civile per il suo comportamento durante i tentativi di soccorso e le successive operazioni di recupero delle salme.
Possiamo affermare che anche oggi, con le nuove tecniche ed i moderni materiali, un soccorso invernale sulla Parete Fasana, con condizioni climatiche avverse risulterebbe problematico e dunque rendere merito a Giovanni Gandin, ai suoi compagni e ai fratelli Bich per la loro impresa.

 

Tratto dal libro
ALPINISMO PIONIERISTICO TRA LECCO E LA VALSASSINA
di P. Buzzoni, G. Camozzini, R. Meles – ed. Bellavite
www.fotostoriche.valsassina.it
www.valsassinacultura.it

Questo testo contribuisce al progetto Il paesaggio culturale alpino su Wikipedia ed è distribuito dalla Comunità Montana Valsassina Valvarrone Val d’Esino Riviera con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale