Le prime rappresentazioni sacre della Passione vennero, a detta degli storici, introdotte dai Crociati che, di ritorno dalla Terra Santa, vollero dare al popolo l’immagine viva dei fatti e dei luoghi che aveva suscitato le loro imprese. Se tale affermazione è verosimile per tutti i paesi cristiani, una leggenda ancor viva nel secolo scorso e appoggiata d’altronde ad avvenimenti realmente accaduti, la rende più che mai valida per il nostro Lario.

Verso la metà del dodicesimo secolo, bandita dal pontefice Eugenio III e predicata da San Bernardo, prese avvio la seconda Crociata. Accanto ai monarchi di Germania e di Francia militavano molti potenti italiani, quali Guglielmo marchese di Monferrato e Amedeo duca di Torino e ancora Martino della Torre signore della Valsassina. Attorno a quest’ultimo era raccolta la gente del Lario, uomini validi ed armati. L’esito dell’impresa fu disastroso. I disagi del percorso, i continui assalti dei Turchi assottigliarono talmente le truppe cristiane che invano tentarono la conquista di Damasco. Durante un attacco a questa munitissima città, Martino della Torre, detto il Gigante, dopo mirabili prove di valore cadde nelle mani dei Saraceni che, cercato inutilmente di farlo abiurare, lo uccisero. Ben pochi dei suoi ritornarono in patria. A ricordo della tragica e pur gloriosa impresa rimasero la mezzaluna nello stemma torriano, i nomi di Palestina dato alle terre della pieve di Primaluna, di Campanile dei Saraceni a un dosso roccioso che la sovrasta e, soprattutto, il costume di recitare, nei giorni santi, la Passione di Cristo.

Come poi si introdusse la parola spagnola di santo entierro a indicare quel rito non saprei dire; certo è che ai tempi di San Carlo, i più remoti di dominazione spagnola, quel costume era antico e diffuso, tanto che il grande arcivescovo ne decretò l’abolizione «essendo tale consuetudine per la perversità degli uomini scesa a un livello che offende il sentimento di molte persone». Il divieto venne ripetuto in seguito, ma gli interventi repressivi non riuscirono a soffocare quella che ormai era divenuta una tradizione radicata nella cultura popolare che l’aveva creata.

L’entierro più famoso fu dunque quello di Primaluna; giunto a forme di fanatismo religioso, il prevosto, spintovi anche dalle autorità civili austriache, lo abolì intorno al 1840. Da come posso ricostruirlo nel suo svolgimento con le descrizioni pervenutemi dal mio bisnonno Carlo, esso si svolgeva tra la piazza della pievana di San Pietro e la chiesetta di San Rocco e prendeva avvio dalla notte del Getsemani per portarsi al giudizio di Caifa, alla flagellazione, alla salita del Golgota. Attori erano uomini del luogo che ogni anno ripetevano la stessa parte, con accurati e suggestivi costumi realizzati localmente; spettatrice era la gente della valle che giungeva da ogni parte, persino dalla lontana Premana. La recita si concludeva con una processione liturgica generale guidata dal prevosto e dai parroci. Dietro la statua del Cristo deposto venivano dodici confratelli in veste di apostoli, che con catene si percuotevano il nudo dorso. Scrisse l’Arrigoni di averne visto «livide le carni ed escirne a rivi il sangue». Proprio per quelle forme di esaltazione a cui partecipavano tutti i presenti, l’entierro fu abolito. Il suo fascino sulle popolazione della Valsassina e dei dintorni, tuttavia, dovette essere stato forte.

testo di PIETRO PENSA, da L’Adda, il nostro fiume, volume terzo, Religiosità, tradizioni e folclore nel ritmo delle stagioni
pubblicato a cura di ANGELO SALA sul sito www.valsassinacultura.it

 

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