Rimaniamo ancora con il cinquecentista Cattaneo Della Torre, il quale ci dice che «al piede di questo vago colle (è il Cantello) dal mezzogiorno siede una bella terra, la quale nomasi Cremeno. La sua vaga et pulita chiesa è fondata sulla sommità della terra, qual è costrutta sotto il vocabolo di S. Giorgio martire, per chiesa di Montagna è molto bella et ben fabbricata… Ivi si ritrovano de belli alloggiamenti con belli orti, et giardini…». La nostra immagine ci mostra sullo sfondo il profilo inconfondibile del grupo montuoso delle Grigne, e allora dobbiamo passare la voce a Mario Cermenati, da «Bellezze naturali dei dintorni di Lecco»: «Svelta, dritta, snella, la Grigna sfida le nuvole. Contemplata da certi punti ha tutto l’apsetto del Duomo di Milano. Una prolissa linea gibbosa accenna al Grignone». Leonardo da Vinci nel suo rapido appunto sulla Valsassina annotava, errando tuttavia: «lagrignia e piu alta montagnia chabbi questi paesi ede pelata». Montagna «pelata» è un nomignolo popolare raccolto anche da Tommaso Grossi nel «Marco Visconti». Ma qui ci vien più opportuno il Giuseppe Muttoni dell’«Apocalisse in Valsassina», che descirve l’aspetto nuovo dopo una nevicata: «Una montagna meno audace, meno aggressiva, una montagna ammansita, con le asperità arrotondate, curva, quasi schiacciata sotto il peso di quella immensa coltre bianca. Simili a toppe e a strappi nella gran coltre, scure sul bianco, qua e là si scorgevano rsoiate di fenditure, ciglia aggrottate di strapiombi, occhiave vuote di baite abbandonate. I motivi esaltanti della verticalità della montagna non esistevano più. L’occhio ora spaziava su un paesaggio alpestre dalle linee ammorbidite, bianco bianco, bianco fino all’allucinazione».

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La «Guida alle Prealpi di Lecco», di Giovanni Pozzi, è piuttosto drastica con Maggio: lo definisce in una brevissima battuta «paesello di poche e misere case vicine a quelle di Cremeno, Barzio, Cassina, ecc. ecc.». Nell’Ottocento evidentemente il turismo qui non era ancora nato, ma almeno il Cantù e il Fumagalli trovavano qualcosa di buono nel villaggio; nella «Grande illustrazione del Lombardo-Veneto» si diceva infatti: «Per sentiero romito si ascende alle rustiche casupole di Maggio che tributa eccellenti stracchini e robiole al commercio di Lecco»; e la «Guida di Lecco» notava, perentoria: «Maggio, celebre pe’ suopi stracchini», senz’altro aggiungere. Forse c’era più poesia nel Cinquecento, perché allora Paride Cattaneo Della Torre scriveva: «…a un miglio vicino si ritrovano molti pastorali alloggiamenti quali, in un bello, vago et ameno territorio, qual Maggio da tutti è dimandato. Porge questo luogo per il bel sito gran meraviglia a risguardanti. Ivi sono grandissime praterie molto utili a possessori». Il paesaggio invernale ci richiama il tocco di Tommaso Grossi nell’«Ulrico e Lidia», ambientato nella nostra terra: Bianchi di neve e di notturno gelo sono valli e monti… La Guida del Magni definisce Maggio «uno dei più bei soggiorni estivi per le sue fresche ombre, per l’ampio orizzonte, per le vette elevate che stanno intorno. L’occhio spazia e si riposa sui prati fertilissimi che coprono il territorio morenico e tra le selve che vi sono alternate con bellissimo effetto». D’estate, appunto, è un’altra cosa.
testo di ANGELO SALA
pubblicato sul sito www.valsassinacultura.it

 

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